Ferrara, Ravenna, Venezia, Napoli, eccetera: 37 siti Patrimonio Unesco sommersi entro 80 anni

Una ricerca di «Nature» dà per certi i danni gravissimi provocati dai cambiamenti climatici lungo le sponde del Mediterraneo

L’opera «The Light», 2007, di Ludovico De Luigi. Courtesy Galleria Ravagnan, Venezia
Anna Somers Cocks |

Con gli uragani che si susseguono uno dopo l’altro, gli incendi che bruciano intere colline, i ghiacciai e le calotte polari che si sciolgono e livello del mare in costante crescita, gli effetti dei cambiamenti climatici sono ormai evidenti praticamente a tutti, tranne che al presidente Donald Trump e ai suoi sostenitori.

Oggi, l’impatto che tutto ciò avrà sul patrimonio storico e culturale sta diventando più chiaro. Uno studio condotto dall’Università di Kiel, pubblicato online da «Nature», rivista scientifica multidisciplinare specializzata, mostra come la crescita del livello delle acque nel Mediterraneo possa provocare danni anche gravi ai 49 siti patrimonio mondiale dell’Unesco situati fino a 10 metri sul livello del mare.

Gli autori hanno messo a punto un modello con un dettaglio molto superiore rispetto a qualsiasi ricerca precedente di ciò che avverrà nei 49 siti Unesco entro il 2100 in base a quattro possibili scenari di aumento del livello del mare e considerando più probabili gli scenari tre e quattro. Il modello rivela come 37 dei 49 siti siano già a rischio di inondazione e 42 di erosione costiera, perché le antiche civiltà costruivano sull’acqua e la maggior parte dei siti Unesco sono di origine antica.

Secondo lo studio, il maggior numero di questi siti a rischio si trova in Italia (13), seguita dalla Croazia (6) e dalla Grecia (3). I più minacciati si trovano sulla costa dell’Adriatico settentrionale: Venezia e le fortificazioni veneziane; la città paleocristiana di Aquileia; i monumenti paleocristiani di Ravenna, con i mosaici bizantini e la città rinascimentale di Ferrara con il delta del fiume Po. La successiva area a rischio elevato è la costa dalmata, con il complesso vescovile di Parenzo, e quella tunisina, con la medina di Tunisi e i siti archeologici di Cartagine e Sabratha.

La mappa rivela il grado di minaccia per numerosi siti altamente evocativi: la Costiera amalfitana; la città romana di Arles; il centro storico di Napoli; la città crociata di Acri; l’antico santuario di Efeso; persino le architetture Bauhuas di Tel Aviv. Nella maggioranza dei casi, le proiezioni hanno rilevanza anche per le aree limitrofe ai siti, quindi la prospettiva è ancora più preoccupante di quanto si evinca dallo studio.

Per esempio, praticamente l’intera costa egea della Turchia, con i suoi numerosi e importanti siti ellenistici, è ai più alti livelli di rischio, sebbene il governo turco non abbia richiesto per essi lo status di «sito Unesco». La domanda è: che cosa si può fare per proteggere questi siti? Perché, come fa notare lo studio, le basiliche di Ravenna potrebbero, in teoria, essere spostate come venne fatto per i templi di Abu Simbel, ma per città come Ferrara o per i siti archeologici questo non è certo possibile.

Nella migliore delle ipotesi, si tratterà di limitare i danni. Il primo passo deve essere rendere i vari Governi consapevoli del problema perché lo inseriscano nelle loro agende. Mechtild Rössler, direttore del World Heritage Centre presso il quartier generale dell’Unesco, dice che i Governi stanno aggiungendo i cambiamenti climatici nella redazione dei loro piani di gestione obbligatori che, in teoria, sarebbero per loro vincolanti. La conversione della conoscenza in azione effettiva è, però, un processo lento e difficoltoso, come dimostrano le azioni del Governo italiano, a lungo rimandate e tuttora incomplete, nel proteggere una delle più preziose creazioni del mondo, la città di Venezia.

Il reportage completo nel numero in edicola di «Il Giornale dell'Arte»

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