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La prima pagina dell’unico numero dell’edizione araba del «Giornale dell’Arte»

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La prima pagina dell’unico numero dell’edizione araba del «Giornale dell’Arte»

Perché il Giornale dell’Arte arabo è uscito una sola volta

Anna Somers Cocks racconta il dietro le quinte di un’opportunità andata in fumo sul nascere

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Anna Somers Cocks

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La notizia del momento (almeno per la stampa internazionale) è l’intenzione del gruppo finanziario RedBird Imi di acquistare l’importante gruppo di giornali inglesi di centrodestra che comprende il «Daily Telegraph» e «The Spectator». RedBird è il fondo americano proprietario del Milan, mentre Imi è un fondo di Abu Dhabi con a capo lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, proprietario anche del Manchester City. Il Governo britannico, che sarebbe incline alla vendita, ha però incontrato forti opposizioni e ha chiesto all’Autorità di regolamentazione della concorrenza e all’Organismo di vigilanza della stampa Ofcom di valutare l’offerta entro il 15 marzo. Ci sarebbe un patto con gli Emirati che garantirebbe l’indipendenza editoriale, dice il Governo, ma che cosa significa concretamente in un’autocrazia dove i regnanti hanno l’ultima parola su ogni decisione? Io lo so bene.

La mia storia inizia nel 2007, quando la Francia e gli Emirati Arabi Uniti si accordarono per creare il Louvre Abu Dhabi. «The Art Newspaper», il giornale in lingua inglese che fa parte della rete di «Il Giornale dell’Arte» e che allora dirigevo, appoggiò il progetto perché dopo l’11 settembre (in cui mia figlia era stata coinvolta) ero convinta che fosse più difficile vedere come un nemico mortale chi si conosce. Ho cioè pensato che attraverso l’arte possiamo imparare e riconoscere la nostra comune umanità. Poco dopo, Abu Dhabi mi chiese di realizzare un’edizione araba di «The Art Newspaper» destinata ai Paesi dal Marocco al Golfo. Un’idea grandiosa. Non c’era e tuttora non c’è nulla di simile.

Dopo molta ricerca realizzammo un «numero zero», in inglese e arabo, con il titolo «Akhbar al Fanun» (Notizie delle arti, nelle foto la copertina in inglese e in arabo). Conteneva articoli scritti appositamente per questo mercato e fu accolto con entusiasmo. Certo, non vi era una tradizione di stampa libera negli Emirati. Ma, ho pensato, lo scopo di questo audace progetto non è forse quello di cambiare le cose? Poi commisi il mio primo errore. Quando Dubai annunciò che avrebbe rappresentato per la prima volta gli Emirati Arabi Uniti con un padiglione alla Biennale di Venezia del 2009, Abu Dhabi non la prese bene. Non importa che gli Emirati si chiamino uniti: Abu Dhabi è la sede del Governo e la capitale e si considera l’Emirato decano. Così allestì un padiglione concorrente e, quando una troupe della Bbc mi intervistò, dissi che era interessante vedere l’arte della regione, ma che la presenza di due padiglioni stava causando una certa confusione nel pubblico, che già aveva difficoltà a collocare gli Emirati sulla mappa, figuriamoci a fare distinzione tra Dubai e Abu Dhabi... Vorrei non averlo mai detto. Dopo che l’intervista venne pubblicata in arabo sul sito della Bbc, Abu Dhabi interruppe immediatamente le trattative: ci vollero tre anni perché fossimo invitati di nuovo e il progetto «Akhbar al Fanun» ripartisse ufficialmente.

L’8 novembre 2017 arriva la grande inaugurazione del Louvre Abu Dhabi alla presenza di Emmanuel Macron e Mohammed bin Zayed Al Nahyan, sovrano de facto di Abu Dhabi e degli Emirati Arabi Uniti. «The Art Newspaper» aveva realizzato un numero speciale di interviste ai protagonisti, francesi ed emiratini, che avevano creato il museo. Sebbene la pubblicazione fosse finanziata dagli Emirati Arabi Uniti affrontava temi difficili come i limiti dell’istruzione nel mondo arabo e l’emergere del fondamentalismo religioso. Girammo anche dei video con ministri emiratini, artisti e protagonisti del mondo dell’arte locale. Io fui invitata a presiedere il primo incontro nell’aula magna del museo, con la presenza di direttori di museo e di personalità di tutto il mondo.

Nel frattempo pubblicammo anche due articoli nell’edizione londinese di «The Art Newspaper». Il primo era un resoconto del report di PricewaterhouseCoopers di quell’anno (commissionato dalla stessa Abu Dhabi) sulle condizioni dei lavoratori dall’Asia meridionale che avevano costruito il museo. Condizioni che potevano essere sintetizzate con la frase «migliorate, ma non ancora perfette». Il secondo era la recensione di un libro che rivelava che erano state le «offset» per la vendita di armi (cioè contributi all’economia locale da parte dei Paesi che vendevano armi agli Emirati) a permettere a Mohammed bin Zayed di avviare il Louvre Abu Dhabi. Il telefono della mia camera d’albergo squillò di prima mattina: «I suoi servizi non sono più richiesti». Una funzionaria libanese di alto rango del Dipartimento della Cultura e del Turismo rimase sconcertata e mi fece incontrare il direttore generale. Cercai di spiegargli che scrivendo solo elogi si diventa poco credibili... Lui si limitò a fissarmi in silenzio.

Chi avevo offeso al punto di cancellare un progetto tanto atteso nell’intera regione? Forse il principe stesso, o uno zelante tirapiedi? Fatto sta che non si fecero mai più vivi e di «Akhbar Al Fanun» esiste un solo numero. A volte lo guardo con tristezza e mi chiedo se sarebbe mai stato possibile realizzare una pubblicazione libera con questi proprietari. E se gli emiratini reagiscono in modo così drastico a critiche così lievi, quale sorte potrebbe toccare ai giornalisti che hanno argomenti ben più incisivi da affrontare?

Ho raccontato tutto questo a sette anni di distanza anche su «Spectator» per tentare di persuadere il Governo britannico a non credere alle promesse di libertà fatte dagli emiratini. Quello che mi è successo nel campo relativamente pacifico dell’arte sarebbe applicato con ben maggior forza nel mondo selvaggio della politica, della finanza e delle guerre.
 

La prima pagina dell’unico numero dell’edizione araba del «Giornale dell’Arte»

La prima pagina del numero 0, febbraio 2009, in versione inglese del «Giornale dell’Arte» edizione araba

Anna Somers Cocks, 12 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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