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Facilitator non porta pene

Franco Fanelli

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Nell’ormai stucchevole gara sul tema «chi è il più antipolitico del Paese», Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, non ha perso l’occasione di segnare un punto sul concorrente Beppe Grillo. Quando l’ex comico, per far strada nell’Europarlamento, ha cercato di intraprendere un’inopinata capriola europeista, mollando l’euroscettico Assange e tentando di agganciarsi al suo contrario, cioè al gruppo Alde (che neanche tanto cortesemente ha respinto la richiesta) il padano con la t-shirt ha commentato: «I 5 Stelle sono passati dalle barricate alle poltrone».

Chi è finito se non sopra di certo in mezzo alle poltrone sono molti writer e street-artist, i diurni ma più spesso notturni grafomani urbani e/o pittori neomuralisti. Lasciamo stare i Banksy, e anche i Jr o gli MR. entrati nella scuderia dorata di Perrotin; per quelli che, pur stanchi di acrobatici backjump e di sanguinose «battle» a colpi di spray non ce la facessero a svoltare sul mercato, il «sistema» tanto aborrito e contestato offre una remunerativa tentazione: diventare «facilitatori visuali».

Ce ne informa Cinzia Leone su «l’Espresso», descrivendone il ruolo sempre più fondamentale nell’era del tramonto della parola e del ritorno della biblia pauperum a fronte dell’affermazione di un nuovo analfabetismo: le ultime statistiche indicano del resto in un buon 80% le persone che, letto un articolo di media difficoltà, non ne hanno compreso il contenuto, figuriamoci formulare un pensiero contrario.

I facilitatori sintetizzano e illustrano alla lavagna, con segni, disegni e schemi, ciò che viene detto nei meeting aziendali o nelle conferenze, a beneficio degli uditori neoanalfabeti (quasi tutti). Un vero patto col diavolo: in cambio di compensi di tutto rispetto (anche 900 euro al giorno in Italia, che salgono a 3mila dollari negli Usa), i writer integrati hanno l’obbligo di ripetere semplificando e il divieto di inventare. Ammesso e non concesso che inventassero qualcosa nella loro precedente attività, cosa che, a occhio, è molto dubbia. Sarà mica per questo che il passaggio dalla strada e dalla controinformazione per diventare inerti corifei e mimi organici al già citato sistema, magari quello più biecamente neocapitalista, è per loro così naturale?

Ma poi, perché prendersela solo con i writer, le loro narcisistiche tag e le loro brache mimetiche a mezzanatica? Pensiamo a quanti «facilitatori» prosperano con la patente di artista sui mercati di ogni quotazione. Il gioco della calda estate 2017 potrebbe proprio essere «trova il facilitatore, in embrione o già formato, alla Biennale di Venezia, a Kassel o a Basilea». Certo è che dato il ruolo che gli artisti si arrogano, toccherebbe a loro porsi un dubbio: non è che, in tutto questo putiferio di immagini e icone, sia tornato il momento di produrne di meno e di partorire, se non un’idea, almeno un pensiero?

Franco Fanelli, 12 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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