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Michela Moro
Leggi i suoi articoliNel marasma di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, «salvate» in extremis con soldi pubblici e privati, la segnalazione che gli ex manager si erano lanciati anche in spericolati acquisti di opere d’arte sopravvalutate sulla base di perizie addomesticate («Corriere del Veneto», 13 aprile, poi «la Repubblica», 6 giugno) è forse di minore importanza, ma quel comportamento può essere paradigmatico per riflettere sulle collezioni d’arte delle banche (e non solo quelle), evidenziando snodi, comportamenti consueti e mancanze.
Già negli anni Settanta l’allora presidente della Banca Nazionale del Lavoro Nerio Nesi aveva fatto con discrezione piazza pulita di pericolose ingerenze (e relative sopravvalutazioni) nelle proprietà artistiche della banca. Arte-banca è un binomio che contiene una costellazione variegata di argomenti, situazioni, realtà e posizioni: collezioni, «art advisory», mostre temporanee. Per il pubblico spesso tutto rientra sotto lo stesso cappello, in modo indistinto. Le collezioni bancarie sono state in generale composte con logiche casuali, in molti casi sono iniziate come prodotto di escussioni e non come volontà programmate. Grandi banche e piccole realtà locali hanno agende differenti, inoltre il sistema bancario domestico è sottoposto a un continuo processo di aggregazione che necessariamente coinvolge ogni aspetto delle proprietà, collezioni comprese. Oppure nella creazione delle collezioni ci si affida all’ispirazione di vertice, ai gusti di chi ai piani alti ha passione, inclinazione per l’arte, e questo orienta scelte e acquisti, che variano di passo con i cambiamenti del top management o della proprietà.
Gli acquisti possono rientrare sotto le voci dell’ufficio tecnico o di un’operazione immobiliare, e una volta acquisiti spesso non sono considerati asset strategici da valorizzare; la cultura della catalogazione e della gestione sarebbe necessaria per le realtà minori, come si è visto nel caso di Veneto Banca, affidandosi a specialisti. La consapevolezza del valore di una collezione istituzionale è relativamente recente: molte sono nate dopo gli anni Duemila e in molti casi rispondono a esigenze di rappresentanza oltre che a progetti di comunicazione e alla necessità di rapportarsi al territorio.
Per il grande pubblico l’art advisor è chi genericamente consiglia la banca sull’arte, ma non è così: l’art advisor collabora con i clienti della banca a investire in arte o a valorizzare il proprio patrimonio artistico, e non quello di proprietà dell’istituto, competenza invece di eventuali curatori. È indubbia la necessità di una maggior regolamentazione che separi i vari settori in modo rigoroso e indipendente, e che ogni processo decisionale in campo artistico sia tracciabile, tanto quanto i diversi aspetti del mercato finanziario.
Un progetto di sistema si deve all’Acri, organizzazione che rappresenta le Casse di Risparmio e le Fondazioni di Origine Bancaria, azioniste delle banche di riferimento ma che operano nel Terzo settore. «R’Accolte» è un archivio online di oltre 9mila opere provenienti da 59 fondazioni, curato dall’Acri, strumento potente ed efficace nella mappatura e gestione del nostro patrimonio artistico. Ma c’è ancora molto da fare. Secondo i dati della ricerca «Arte e Azienda: le Corporate Collections In Italia», realizzata nel 2015 da Axa Art con la collaborazione di Makno, su 259 realtà in possesso di una collezione d’arte corporate, per il 40% appartenenti al mondo dell’impresa, per il 37% al mondo bancario e per l’11% agli studi professionali e altrettanto a fondazioni non bancarie, sono ancora poche le istituzioni ad aver compreso quanto sia importante, anche da un punto di vista economico, una gestione trasparente e virtuosa della collezione.
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