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Bruno e Stefano

Le scoperte dei restauri a Santa Maria Novella

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Giorgio Bonsanti

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Firenze Santa Maria Novella: non la stazione ferroviaria di Giovanni Michelucci né la canzone di Pupo, per chi la ricorda, ma la grandiosa chiesa gotica domenicana con il suo straordinario elenco di artisti che vi hanno lasciato opere. A conferma di quanto virtuoso sia il circuito fra conoscenza e conservazione, e a integrazione di due volumi a cura di Andrea De Marchi sui secoli fino a metà Cinquecento, già editi (da Mandragora di Firenze, 2015 e 2016), ne è stato pubblicato un terzo più specifico curato da Anna Bisceglia, funzionaria della Soprintendenza, in cui si dà conto di alcuni ritrovamenti molto speciali emersi in relazione con le campagne di restauro (Ricerche a Santa Maria Novella, 240 pp., Mandragora, Firenze 2016, € 45,00). Imponente risulta all’inizio l’elenco dei restauri alle opere mobili e ai dipinti murali compiuti in chiesa fra il 2005 e il 2015, dapprima a cura del Comune di Firenze, dal 2008 per iniziativa dell’Opera per Santa Maria Novella.
 
E quanto ai ritrovamenti di cui sopra: si tratta di due grandi scene affrescate, lacunose ma affascinanti per straordinarietà dei risultati artistici e per il possibile autore; caratteristica, quest’ultima, che riguarda anche un affresco staccato raffigurante san Tommaso conservato nei depositi della Soprintendenza ma di originaria provenienza dalla chiesa. Ma andando per ordine: nel primo caso, si parla, sulla scorta del Vasari, del mitico Bruno, il pittore trecentesco compagno, secondo Boccaccio, di Calandrino e Buffalmacco, di cui costituirebbero le uniche opere conservate. I due affreschi (primo quesito: sono della stessa mano, come conclude De Marchi? Che sulla loro scorta attribuisce al pittore, per me non convincentemente, anche due dipinti su tavola), resti di decorazioni più complete, raffigurano il Martirio della Legione tebana (terzo altare a destra) e tre figure di santi (primo a sinistra). Bellissimi, si tratta di un grande recupero; scoperti, come anche un bell’affresco del quattrocentesco Botticini, grazie all’aver tolto le pale cinquecentesche incastonate negli altari vasariani. Ugualmente era avvenuto nei primi anni Novanta del Novecento nella chiesa di San Marco, sempre a Firenze, con la scoperta dei resti di un ciclo guerresco del raro Antonio Veneziano.


La soluzione, in questi casi, escluso lo stacco degli affreschi come si sarebbe fatto fino a non moltissimi anni fa, è quella di studiare un sistema per cui il pesante dipinto su tavola viene incardinato su un telaio di acciaio e può aprirsi, all’occorrenza, rivelando l’affresco al di sotto. Quanto al san Tommaso: si tratterebbe dell’unico resto in Firenze di un pittore altissimamente valutato da Ghiberti, il cosiddetto Stefano, autore di un’Assunta nel Camposanto di Pisa distrutta nel 1944 e dei grandiosi affreschi tuttora nella chiesa abbaziale di Chiaravalle presso Milano. Antiche fonti lo menzionavano come un genero di Giotto; scrivendo in occasione del restauro della Croce giottesca di San Felice (1992) ne dimostrai l’impossibilità per ragioni cronologiche.


Le vicende di questo san Tommaso, raffigurato stante entro un’edicola, sono state brillantemente ricostruite da Serena Pini del Comune di Firenze, che ha riconnesso l’affresco (staccato a metà Ottocento da Gaetano Bianchi) con la sua ubicazione originaria nella navata destra, coincidente con la notizia data da Ghiberti. Purtroppo lo stato di conservazione è estremamente compromesso, la figura è non molto più che un’ombra; ma, ripeto, si tratterebbe dell’unica traccia fiorentina di questo grandissimo pittore giottesco. Dei restauri dei due affreschi ritrovati sotto le tavole d’altare scrivono nel libro la stessa Bisceglia e il restauratore di affreschi Simone Vettori, attualmente impegnato con altri nella Sala di Costantino in Vaticano. A conferma che, se c’è una tipologia di restauro nella quale l’Italia rimane all’avanguardia mondiale, è quella della conservazione dei dipinti murali.

Giorgio Bonsanti, 18 maggio 2016 | © Riproduzione riservata

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