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Aleppo come Varsavia, Berlino, Dresda e Tokyo

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Francesco Bandarin

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Questa grande città storica, dove si sono succedute nei millenni le civiltà degli Ittiti, degli Assiri, degli Accadi, dei Greci, dei Romani, degli Omayyadi, degli Ayyubbidi, dei Mamelucchi e degli Ottomani, è oggi distrutta. Il 75% della città è ridotto a totale rovina. Nella parte storica sopravvive il 40% dei monumenti, un altro 30% è semidistrutto, il rimanente 30% non c’è più, spazzato via dai bombardamenti, dagli incendi, dai tiri incrociati di missili e proiettili.

La Grande Moschea del XIII secolo, l’epoca mamelucca, è gravemente danneggiata, il suo minareto dell’XI secolo è abbattuto (prima e dopo le distruzione). I grandi caravanserragli, il Khan-al-Saboun (del sapone) del XV secolo, il Khan-al-Wazir (del Ministro) del XVII secolo e il Khan Al-Shouneh (della Giordania), sono in rovina.

Infine, Il grande suq di Aleppo, il più grande del mondo, con uno sviluppo lineare di oltre 13 chilometri, è andato in fiamme a seguito dei bombardamenti, ne restano solo alcune porzioni in piedi. Persino le costruzioni moderne sono in cenere: il grande Serraglio, sede del Governatorato di Aleppo nel Novecento, l’Hotel Carlton, realizzato nell’edificio dell’ex ospedale. Non c’è più nulla, solo rovine.

La cittadella di Aleppo è gravemente danneggiata, anche se ha subito meno danni del resto della città. Per trovare situazioni simili bisogna ricordare le grandi distruzioni urbane della seconda guerra mondiale, di Varsavia, Berlino, Dresda, Tokyo. Tutto attorno, la più grave crisi umanitaria della storia contemporanea: 11 milioni di rifugiati su una popolazione di 23 milioni, la metà dei quali fuori dai confini del Paese, in Turchia, Libano, Giordania. È una guerra che continua in altre parti della Siria.

Subito dopo la riconquista della città da parte delle forze armate siriane, nel dicembre del 2016, si è cominciato a fare l’inventario delle distruzioni e si sono avviate le prime misure di protezione dei siti, di censimento dei danni, di recupero dei materiali necessari ai restauri. Il restauro dei monumenti di Aleppo sarà una operazione ciclopica, che richiederà grandi risorse e tempi lunghi. La stima attuale è che si dovrà lavorare per almeno vent’anni. Una missione Unesco è andata sul posto a fine gennaio 2017 per una prima ispezione. Un incontro tecnico con tutte le parti in causa (Governo nazionale, Governo locale, organizzazioni locali, fondazioni e organismi internazionali, missioni archeologiche) è stato organizzato dall’Unesco a Beirut lo scorso marzo.

Ne è scaturito un primo Piano di Azione, che individua i compiti essenziali in questa fase, e cioè la protezione dei siti e la documentazione tecnica, e ne è uscito un modello di coordinamento, centrato su un Comitato nazionale per la parte siriana e sull’Unesco per la componente internazionale. Adesso è necessario procedere alla mobilitazione delle ingenti risorse necessarie, operazione non facile, vista l’attuale situazione politica, che vede gran parte dei Paesi «donatori» in posizione antagonista all’attuale Governo siriano. Fino a quando non ci sarà un accordo internazionale sul futuro della Siria non sarà facile trovare donatori disposti a investire.

Tuttavia i progetti di immediata necessità possono essere già avviati, perché hanno un costo minore e perché alcune risorse sono disponibili. In particolare, l’Aga Khan Trust for Culture ha avviato, sulla base di un accordo con il Governo di Damasco, un’importante attività nelle aree centrali della città, in un perimetro che comprende la Grande Moschea, i khan antichi e il grande mercato. L’Aga Khan Trust, che era già intervenuto su Aleppo prima della guerra con importanti restauri, dispone di una buona capacità logistica sul posto e delle competenze tecniche per un avvio rapido dei progetti. Aleppo è distrutta. La sua rinascita, la rigenerazione della sua società, il restauro di ciò che resta dei suoi grandiosi monumenti dipenderanno dalla capacità della comunità internazionale di aiutare i siriani a ricostruire quanto una guerra devastante ha ridotto in macerie.

Francesco Bandarin, 07 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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