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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliIl progetto di doppio percorso del nuovo direttore per separare la folla di turisti «mordi e fuggi» da altri più «contemplativi» riunisce da una parte i capolavori, dall’altra opere meno note. Ma rischia di snaturare la funzione originaria del museo, per cui molti lo contestano ritenendolo un cedimento ai dati puramente contabili del turismo
Quale sarà il futuro dei venti «supermusei» della riforma Franceschini? Ma soprattutto e più in generale: quale deve essere il ruolo del museo oggi? Quale il criterio nella scelta della fruizione? Quello pedagogico, che punta a inquadrare le opere nel contesto culturale in cui furono create? O strumento per sostenere l’economia del turismo con l’obiettivo di favorire il culto di alcune icone che i visitatori possono poi ritrovare nel ricco merchandising dei servizi aggiuntivi? Ma che cosa vogliono veramente i visitatori? Istruirsi? Provare piacere estetico? Compiere un «pellegrinaggio» perché oggi la cultura è diventato un «must», un mezzo di distinzione e di emancipazione sociale, come scriveva Pierre Bourdieu già alla fine degli anni Settanta?
Queste domande vengono alla mente alla luce dei recenti interventi nelle sale degli Uffizi di Firenze, dopo l’annuncio di Eike Schmidt di dare il via a una serie di sostanziali modifiche degli allestimenti esistenti, realizzati dal suo predecessore Antonio Natali; l’intento del nuovo direttore è quello di rendere la Galleria delle pitture e delle statue (Galleria degli Uffizi) più fruibile, creando due percorsi (cfr. edizione online 17 ottobre e 9 novembre 2016) che concentreranno in specifiche stanze al secondo piano i principali capolavori e riserveranno le sale del primo piano, annesse negli ultimi anni al percorso museale, alla visione dei dipinti importanti ma meno noti. La motivazione è che gli ambienti del primo piano sono troppo piccoli per accogliere molto pubblico.
La volontà espressa da Schmidt è di «abbandonare il sistema della galleria autogrill con ingresso unico e percorso obbligato e permettere ai visitatori di ritagliarsi su misura la loro esperienza agli Uffizi». Di non creare insomma ingorghi, lasciando al turismo «mordi e fuggi» il tempo per una visita rapida e agli altri visitatori ritmi più lenti (il biglietto resta lo stesso, non differenziato a seconda dei percorsi).
Questo ragionamento ha destato profonde perplessità in chi crede ancora all'originaria funzione pedagogica del museo, poiché un visitatore «non colto», ma curioso e interessato, rischierà di non cogliere da una visita così frazionata le ragioni per le quali certe opere sono state concepite. Ad esempio i dipinti di Botticelli non saranno più visibili tutti insieme: riuniti da metà ottobre 2016 nelle sale del secondo piano allestite con il maggior spazio di parete disponibile, saranno suddivisi tra primo e secondo piano, spezzando così il filo di un racconto. L’esaltazione delle opere feticcio scorporate dal loro contesto emerge nella scelta stessa di presentare i capolavori entro nicchie, protette da vetri antiriflesso e climatizzate, che annullano lo spessore dell’opera (quasi assimilandole ai manifesti in vendita al bookshop).
Analoga divisione sarà destinata anche alle opere di Leonardo, del quale è stata appena presentata, dopo il restauro, l’«Adorazione dei Magi» (cfr. n. 373, mar. ’17, p. 36): un restauro proposto molto anni fa da Natali, bloccato dalle polemiche di James Beck, ripreso sotto la direzione dello stesso Natali per concludersi sotto quella di Schmidt. Nella sala di Leonardo, Natali aveva previsto l’«Adorazione dei Magi» insieme al «Battesimo di Cristo» di Verrocchio (col famoso angelo di Leonardo) e all’«Annunciazione» del giovane Leonardo, ma anche altre opere di maestri attivi nella stessa bottega di Verrocchio, quindi Perugino, Botticini, Ghirlandaio, Lorenzo di Credi, al fine di rendere chiara la formazione del grande artista negli ultimi decenni del Quattrocento: a Leonardo infatti restava comunque intitolata la sala.
Tra le decisioni di Schmidt, quella che forse più dispiace è la scelta che riguarda Michelangelo: al centro della sala a lui dedicata, Natali aveva collocato, nel 2012, la grande statua dell’Ariadne, copia romana di un originale ellenistico (essendo peraltro quello l’unico spazio in grado di sostenere l’enorme peso del marmo antico, grazie alla presenza di un pilastro sottostante): una scelta lodata dalla critica in quanto si trattava dell’opera cui Vasari, nel Proemio della terza parte delle Vite, attribuisce il merito di aver fatto scattare la «maniera moderna», e che rendeva di ancor più facile comprensione la presenza degli avvitamenti e delle contorsioni delle membra del Tondo Doni di Michelangelo, anch’esso esposto; come nel caso di Leonardo le opere dialogavano qui con quelle di Granacci e di altri artisti con esordi affini, come Fra Bartolomeo, Andrea del Sarto e Franciabigio.
Se Raffaello e Michelangelo si troveranno ora riuniti nella stessa sala, in quanto big del primo Cinquecento, il valore «feticistico» sarà esaltato al massimo, ma una scelta così forte giustifica lo smantellamento a distanza di pochi anni di un intervento (costoso) come la collocazione del marmo dell’Ariadne, la cui presenza era peraltro, oltre che pertinente e istruttiva, assai spettacolare (e quindi, paradossalmente, in linea con la ricerca di attrattiva glamour che la politica museale odierna sembra promuovere). Se l’Ariadne resterà nell’unica sala che può strutturalmente sostenerla, ma estraniata dal contesto per il quale era stata pensata, la sua presenza diventerà incomprensibile. È questo il prezzo da pagare per soddisfare l’espansione progressiva dei turisti?
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