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Sono almeno nove i re d’Italia, da Berengario I ad Arduino d’Ivrea, fino a Federico Barbarossa che in quasi tre secoli, tra l’888 e il 1155, furono incoronati in San Michele Maggiore: i primi otto nella basilica longobarda, l’ultimo, nell’edificio dalle limpide forme romaniche che è giunto sino a noi.
La chiesa precedente (probabilmente eretta sull’area di un tempio pagano convertito da Costantino al culto cristiano) fu distrutta nel 1004 da un incendio che risparmiò il solo campanile, e la fabbrica attuale, dopo anni durissimi d’invasioni, scorrerie, terremoti, distruzioni, fu avviata alla fine dell’XI secolo. A dispetto della ricostruzione delle due crociere originarie della navata centrale (alla fine del Quattrocento per ragioni statiche), quella che vediamo oggi è sostanzialmente la basilica edificata intorno al 1100. Con una grande, recente novità però, perché il restauro della volta a crociera del presbiterio (questa, originale) e di quelle (ricostruite nel XV secolo) della navata centrale, ha riportato alla luce il manto di affreschi realizzati tra l’ultimo Quattrocento e il primo Cinquecento, poi scialbati nel 1865 per riportare la basilica alla «purezza» romanica originaria, in nome della teoria del restauro di allora.
L’intervento attuale, promosso dall’Associazione Il Bel San Michele onlus di Pavia e realizzato da Carlo Bergamaschi, architetto dello Studio A7 Design, con il comitato scientifico e la locale Soprintendenza e con il sostegno di Regione Lombardia; Fondazione Luigi Rovati, Monza; ASM, Pavia; Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia; Fondazione Bracco, Milano; Coop Lombardia; Universitiamo Pavia, ha restituito i brillanti colori rinascimentali che un tempo la rendevano famosa e ha permesso di ritrovare tra l’altro una figura maschile coronata, che si era supposto fosse un ritratto di Federico Barbarossa, incoronato qui nel 1155, ma che un cartiglio scoperto ora sembra riportare all’imperatore Costantino, colui che avrebbe convertito il tempio pagano in basilica cristiana.
Sono stati ritrovati anche i colori dei capitelli, un tempo policromi, e al tempo stesso, intervenendo sulle volte, si è potuta approfondire la conoscenza dei sistemi costruttivi arditi e sperimentali (forse portati da maestranze d’Oltralpe) di volte e coperture dell’edificio romanico, che allora accoppiavano in due sole campate i quattro arconi dei matronei e il cleristorio superiore, aperto da monofore. Il che consentiva d’illuminare maggiormente l’interno della basilica, ma al tempo stesso caricava di un peso esorbitante i pilastri maggiori e le navate laterali. Tanto che alla fine del Quattrocento furono chiamati gli architetti Jacopo e Agostino da Candia, padre e figlio, a ricostruire le due grandiose crociere di arenaria parzialmente crollate, sostituendole con quattro più leggere crociere di laterizio.
Tipico di questa basilica è anche l’uso pervasivo della friabile arenaria anziché del mattone, che se fa di essa un unicum nell’area pavese, d’altro canto la rende molto vulnerabile alle aggressioni delle intemperie, che hanno reso difficilmente leggibile l’apparato di sculture della facciata, doppiamente prezioso perché narra la vita quotidiana di quei secoli lontani, con le tre sole eccezioni delle figure di sant’Ennodio e sant’Eleucadio, vescovi entrambi, e ovviamente di san Michele. Compatibilmente con gli attesi finanziamenti, i lavori proseguiranno con la pulitura delle altre volte e con l’apertura al pubblico dei percorsi inframurari che corrono nello spessore della facciata e dei matronei.

Particolare degli affreschi della navata centrale della Basilica di San Michele a Pavia © Associazione il Bel San Michele
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