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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliCon 2.500 anni di storia, Patrimonio Unesco, residenza reale più antica d’Europa, sede del più antico parlamento del mondo, il Palazzo Reale di Palermo apre le porte all’arte contemporanea di Jago. Artista e scultore di fama internazionale, all’anagrafe Jacopo Cardillo nato a Frosinone nel 1987, Jago presenta nel cortile Maqueda fino al 3 giugno l’opera «Look Down», proseguendo così il nuovo corso impresso al Palazzo da Patrizia Monterosso, Direttore Generale della Fondazione Federico II, l’ente fondato nel 1996 per valorizzare il patrimonio culturale della Sicilia e dei suoi artisti, che ha inoltre in carico la gestione del Complesso Monumentale di Palazzo Reale e della Cappella Palatina.
«L’allestimento dell’opera “Look Down” a Palazzo Reale, spiega Patrizia Monterosso, non altera la fruizione del luogo, ma la esalta e crea l’opportunità di nuovi approfondimenti e nuova rigenerazione. L’arte di Jago è anche comunicazione e contribuisce a determinare ulteriori consapevolezze. L’allestimento presso il Cortile Maqueda seicentesco è stimolo per ricercare maggiore bellezza dell’arte, difenderla e curarla. L’opera imprime ulteriore umanità a questo luogo. Le opere di Jago, inoltre, hanno il merito di ricordare come ascoltare l’anima: per ascoltare occorre porre attenzione all’altro. “Look Down” pone il visitatore in una condizione di ascolto con l’elemento immateriale dell’opera. Non a caso le sue opere affrontano spesso temi sociali che pongono il fruitore dinanzi a un interrogativo a cui non può sottrarsi».
Abbracciato dal caleidoscopico loggiato del Cortile Maqueda e rivolto verso la splendida Cappella Palatina, il gigantesco neonato in marmo bianco che dorme accovacciato in pozione fetale, creato da Jago nel 2020 in piena pandemia Covid, approda a Palermo dopo essere stato esposto a Napoli, nel deserto di Al Haniyah a Fujairah (Emirati Arabi Uniti) e a Roma. Il titolo allude e gioca con la parola lockdown, un periodo di grande vulnerabilità in cui l’artista, attraverso l’opera, invitava a guardare in basso, alle fasce più deboli e vulnerabili della società, e a riconnetterci con il nostro io, con la parte più recondita delle nostre paure ed emozioni.
«L’opera può avere la capacità di sottolineare le caratteristiche dello spazio che la circonda, ma è sicuramente assoggettata al valore, alla storia e al racconto che quel luogo, inevitabilmente, impone sull’opera stessa. È un po’ come quando noi esseri umani ci troviamo a frequentare dei luoghi e ci sentiamo condizionati dagli stessi. La relazione della mia opera con Palazzo Reale è esattamente come quello che ogni visitatore può provare all’interno di questi spazi. È il rapporto di chi ha la possibilità di farsi opera d’arte. Viaggiare, muoversi, frequentare quegli ambienti, infatti, vuol dire diventare opera d’arte. Questo è il grande privilegio che questi spazi, regalati dal tempo e magnificamente custoditi, hanno la forza di concederci», afferma Jago sul rapporto tra il suo lavoro e Palazzo Reale.
L’opera veicola dunque un messaggio puro, candido ed eterno, come il marmo bianco nella quale è stata scolpita. La morbidezza delle linee e delle forme sembra contenere la spinta di una forza primigenia che dilata la materia, trasgredendo alle rigorose proporzioni e simmetrie della statuaria classica. Gli occhi chiusi, la posizione stesa e adagiata a terra ne sottolineano la vulnerabilità, in contrasto con la forza ben definita degli eroi marmorei cui la storia dell’arte ci ha abituati. L’opera si carica qui di una forza e di un’eco ancora più grandi, attraversata da un profondo legame con la storia di Palermo. Quel corpicino appena nato richiama infatti l’episodio del parto pubblico nella piazza di Jesi con cui la quarantenne Costanza d’Altavilla, per fugare ogni dubbio sulla gravidanza in età avanzata, diede alla luce suo figlio, il futuro re di Germania e di Sicilia, imperatore del Sacro Romano Impero, Federico II di Svevia, la cui nascita ed esposizione in pubblico fu decisiva per le dinamiche successorie del Regno di Sicilia.
«Sono spaventato dai luoghi di cui credo di potermi innamorare, Palermo è uno di questi. Sarò in grado di poter condividere le sensazioni che mi trasmette al termine di questa esperienza di installazione perché avrò modo di approfondire, ma temo che la mia frequentazione sarà accompagnata da un sentimento di sofferenza perché ciò accade quando ti innamori di un luogo e devi lasciarlo. E sono sicuro che di Palermo mi innamorerò facilmente», conclude Jago.

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