Margherita Fochessati
Leggi i suoi articoliA cavallo tra Cinque e Seicento Genova conobbe uno dei momenti di massimo splendore nella sua storia politica e culturale. Nel corso di quel periodo, che è stato definito «el siglo de los genoveses» (il secolo dei genovesi), le più importanti famiglie patrizie fecero costruire una serie di suntuosi palazzi in Strada Nuova, l’attuale via Garibaldi, e parallelamente rinnovare decine di residenze dislocate nel vasto centro storico cittadino. Il consistente numero e lo splendore degli edifici diede vita a un particolare sistema di ospitalità pubblica: il Senato della Repubblica Aristocratica, infatti, istituì un elenco ufficiale dei palazzi di pregio, detti «rolli» (oggi custodito presso l’Archivio di Stato di Genova), che, a turno, avrebbero dovuto ospitare le visite ufficiali di regnanti e ambasciatori. La qualità dell’architettura e delle decorazioni dei palazzi, unitamente al singolare sistema di ospitalità cittadina, hanno fatto sì che nel 2006 «le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi del Rolli» fossero riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Ogni anno la città celebra i Palazzi dei Rolli con i «Rolli Days», evento giunto alla sua tredicesima edizione. In occasione di due fine settimana, uno in autunno e uno in primavera, le dimore storiche aprono le loro porte: da venerdì 13 a domenica 15 maggio è possibile visitare questi siti normalmente preclusi al pubblico e, per l’occasione, disporre di un approfondimento tematico sullo stile Barocco grazie al «Progetto Superbarocco» (quest’ultimo in concomitanza con la mostra allestita alle Scuderie del Quirinale a Roma). Dal 2017 l’evento «Rolli Days» è curato dallo storico dell’arte genovese Giacomo Montanari a cui abbiamo rivolto qualche domanda.
La manifestazione dei Rolli Days è un evento che ha sempre riscosso un grande apprezzamento sia da parte del pubblico sia da parte degli addetti ai lavori. Testimonianza ne è stata la grande affluenza anche in seguito alla pandemia e alle nuove modalità di fruizione dei siti. Quali sono secondo lei le caratteristiche e gli elementi che assicurano la buona riuscita di questa iniziativa e come questa si è evoluta nel corso del tempo rispetto alle prime edizioni?
Penso che uno dei pilastri su cui si regge l’evento, un vero punto di svolta, sia stato il voler mettere al centro della proposta i Palazzi dei Rolli. Le primissime edizioni dei Rolli Days (2009-2011), all’indomani dell’iscrizione del sito nella lista del Patrimonio dell’Umanità UNESCO (2006), tendevano a pensare agli spazi dei palazzi come luoghi espositivi per opere d’arte, soprattutto contemporanea, o performances, di danza e di musica. Sotto molti punti di vista è stato un esperimento interessante e riuscito, ma che tendeva a mettere in secondo piano l’identità del sito stesso. A partire dal 2012, invece, sotto la regia dell’Università di Genova e in particolare di Lauro Magnani, si è cominciato a riportare l’attenzione sui singoli palazzi, sulla storia dei loro proprietari, sull’urbanistica cittadina e sugli importati cicli decorativi. Questa metodologia scientifica è stata estesa non più ai soli palazzi di proprietà dell’Ateneo, che sono stati un vitale banco di prova di una modalità laboratoriale, bensì ai vari palazzi pubblici e privati che, di volta in volta, venivano aperti al pubblico. A fare affermare questo metodo ha contribuito in maniera decisiva la sinergia con il Comune di Genova e Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, che hanno permesso di mettere in piedi un vero e proprio programma di selezione, formazione e retribuzione di figure che, da quel momento in avanti, hanno assunto un ben preciso status di Divulgatore Scientifico. Questa idea, una formazione continua al racconto del patrimonio, coniugata con una prospettiva qualitativa dei contenuti portati al pubblico e della costruzione dell’esperienza di visita ha avuto, come effetto, un aumento impensabile dei flussi di pubblico. Tra 2012 e 2015 l’aumento dei visitatori è stato del 480%: un chiaro segno che si stava procedendo nella direzione corretta.
Indubbiamente il successo dei Rolli Days si basa anche sull’altissima qualità scientifica della divulgazione e della narrazione portata avanti grazie alla professionalità dei divulgatori scientifici. Come nasce la figura del divulgatore scientifico e come si struttura il suo ruolo nel contesto dell’iniziativa?
I divulgatori scientifici coinvolti nel progetto sono giovani professionisti delle humanities (discipline accademiche che studiano aspetti della società umana e della cultura Ndr) sia ancora coinvolti in percorsi di formazione, sia che li abbiano appena terminati. Il loro ruolo è offrire una prospettiva di lettura scientifica dei fenomeni mediata dalle proprie diverse provenienze professionali: lavorano a questo progetto laureati in lingue, specializzati in architettura, dottorandi di storia dell’arte. Insomma: leggere e comprendere i siti monumentali che popolano il sito dei Palazzi dei Rolli non è appannaggio di una singola disciplina, e credo profondamente che ognuno possa e debba dare il proprio contributo a questo percorso di conoscenza. Ad oggi l’accesso alla lista degli idonei ad essere chiamati per lavorare alle aperture dei Rolli Days passa attraverso la risposta a una call for applications internazionale che prevede una doppia selezione, per titoli e per colloquio. Mi rende felice il fatto che in questi anni si sia progressivamente preso coscienza che il raccontare la ricerca scientifica al pubblico, ed essere in grado di farlo coinvolgendo diversi tipi di uditori mantenendo sempre qualità, chiarezza e completezza, è una vera e propria professione. In Italia di fatto questa figura professionale non esiste, non esistono titoli di studio che ne garantiscano la liceità e questa condizione apre un problema, serio: di fatto sembra che il personale, nel contesto di iniziative museali o di apertura di siti monumentali al pubblico, possa essere un personale volontario, di informazione, che si trova quindi a ricoprire un ruolo professionale senza averne le competenze. Oppure, spesso, questo ruolo viene affidato alla guida turistica, profilo professionale che però ha altre prerogative: non ha, ad esempio, l’obbligo di essere formata a livello altissimo dal punto di vista scientifico, in merito a quelle prerogative che un sito complesso come il nostro presenta e, quindi, può non rispondere sempre a quell’aspettativa qualitativa che il pubblico ha su questo tipo di eventi.
Ricerca, apprendimento e divulgazione non sempre riescono a coincidere e trovare coerenti punti di contatto. L’integrazione di tali elementi caratterizza invece la manifestazione dei Rolli Days che si sviluppa, attraverso la visita ad un ampio numero di palazzi storici, come un grande cantiere didattico; come si riescono a coniugare tutti questi aspetti?
Credo che la ricchezza di questo evento sia di essere partecipato equamente da tutti gli enti che a livello territoriale si occupano di cultura: in primis dall’Università, il cui apporto è stato fondamentale. Se non ci fosse stata l’esperienza costruita da Lauro Magnani, con quel «laboratorio operativo didattico» che metteva al centro i palazzi, non avremmo avuto proprio gli strumenti scientifici per strutturare l’esperienza dei divulgatori. Quindi da un lato l’Università, dall’altro c’è Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e poi, soprattutto, il grande sostegno offerto dall’attuale gestore del sito UNESCO, il Comune di Genova. Il ruolo del Comune, non facile, è stato anche quello di contribuire in questi anni a far dialogare tutti gli interlocutori del territorio. A questi si aggiunge anche la Soprintendenza, che non solo fa parte del comitato di pilotaggio del sito, ma che ha sempre collaborato con iniziative e aperture speciali con il coinvolgimento delle sue aree museali a questi eventi. Di fatto abbiamo tutti saputo collaborare a un progetto comune, e questo ruolo dell’Ateneo, come depositario dell’aspetto formativo e scientifico, è un ruolo che ancora oggi è fondamentale. Ritengo che sia stato centrale comprendere, infatti, che non avevamo bisogno di divulgatori di professione, ma di professionisti della cultura che si sono specializzati nel divulgarla. Mettendo in mano ad un bravo attore un copione da recitare non avremo mai qualcuno che ha il controllo su quello che dice. Certo, è probabile che lo dica meravigliosamente bene, però non è stato lui ad averlo costruito, non è «dentro» la materia e quindi non determina la narrazione in maniera attiva. Se invece a lavorare a questo tipo di progetto è uno storico dell’arte, che sia in formazione o già formato, questi avrà certamente gli strumenti per raccontare in maniera qualitativamente elevata ciò che lui per primo è capace di costruire con la ricerca.
La situazione pandemica ha influito sulla realizzazione di diversi contenuti digitali. Quali sono state le considerazioni e le indicazioni che avete tratto dal lavoro fatto sul digitale e come ritiene che possa continuare ad essere impiegato anche in futuro?
La pandemia ha accelerato qualcosa che con il gruppo di lavoro che segue le aperture legate ai Palazzi dei Rolli avevamo in progetto di sviluppare più avanti. Sulla proposta di questo approccio integrato alla promozione sul fronte digitale si sono sempre trovate molto resistenze, perché il digitale è ancora molto frainteso, considerato come qualcosa di sostitutivo dell’esperienza fisica. Io credo invece che una delle cose più interessanti che sia venuta fuori a livello di dati dalle edizioni vissute sotto l’emergenza sanitaria è stato che questi due aspetti sono estremamente complementari. La possibilità di dialogare con il pubblico sotto due modalità, quella live e quella digital, ci ha permesso di vedere che all’aumentare dei contenuti digitali, aumentava la soddisfazione e la presenza di pubblico in presenza. E c’è di più: la componente digitale ha abbassato esponenzialmente l’età degli utenti. Investire sul digitale non significa disinvestire sul live, ma significa massimizzare l’investimento, rendere l’esperienza più completa, esperienza che può trovare e intercettare diversi tipi di pubblico e che contestualmente può circolare su quei canali comunicativi tipicamente usati dalle nuove generazioni. Il video contribuisce a creare un rapporto con un pubblico non solo genovese che può trovare interessante avvicinarsi a questa ricerca scientifica sui palazzi genovesi e sulla cultura artistica della città, anche senza dover fisicamente «incappare» nella manifestazione. Inoltre la divulgazione scientifica a tema Palazzo dei Rolli, rende l’evento potenzialmente attivo 365 giorni l’anno. Abbiamo avuto l’opportunità di costruire un sito che è sempre consultabile, con tutti i video che abbiamo realizzato, ed è stato addirittura duplicato da Rai Cultura che ha dedicato al sito UNESCO genovese una pagina ad hoc sui Palazzi dei Rolli, ritendendo questi contenuti di eccellenza. Il digitale quindi è stato dal punto di vista comunicativo una grandissima opportunità, che ci ha permesso di raggiungere un fine che noi stavamo comunque perseguendo già in maniera sistematica, ma allargando lo spettro dell’utenza. L’importante è avere la consapevolezza che il digitale è uno strumento e non un fine. Bisogna sempre però tenere sottocchio il concetto qualitativo: un sito UNESCO, un ente di ricerca, un patrimonio culturale deve sempre puntare a essere una esperienza di qualità.
Le ultime edizioni hanno visto un progressivo aumento dei siti visitabili, dislocati non solo nel centro storico, ma anche nel Ponente genovese dove si sono aperte le porte di diverse ville nobiliari.Quali sono, secondo lei, gli effetti della diffusione dell’iniziativa sulla fruizione da parte del pubblico?
Le ville in maniera diversa, forse meno massiccia, fanno parte del progetto legato ai Palazzi dei Rolli da diverso tempo. Certo è che nel 2018, dopo il crollo del ponte Morandi, io avevo proposto di fare un’edizione che avesse un forte legame, che puntasse a far conoscere la Val Polcevera non come luogo della tragedia, ma anche per tutto quello che la valle aveva sempre dato e per l’importanza che aveva sempre ricoperto per la città, cosa di cui spesso anche i genovesi stessi si dimenticano. In quell’occasione aprimmo non solo la chiesa della Certosa di Rivarolo, ma anche ad esempio l’Abbazia di San Nicolò del Boschetto, chiusa da decenni, e molte ville di Sampierdarena che costituiscono un asset straordinario. In questa edizione l’Abbazia del Boschetto diventa un luogo di teatro, abbiamo infatti organizzato degli spettacoli teatrali negli spazi interni, che costituiranno e verranno vissuti come evento collaterale, mentre Sampierdarena vede l’apertura di tre ville e una chiesa più le ville di Cornigliano. Quello che gli eventi legati ai palazzi dei Rolli possono fare è esattamente questo: proporre siti monumentali quali perni su cui riscoprire la vivibilità e la qualità di vita (il famoso welfare) dei quartieri stessi. L’esempio ci era arrivato forte e chiaro quando avevamo aperto il palazzo Brancaleone Grillo in Vico Mele, area centralissima del quartiere della Maddalena, tragicamente nota perché luogo di spaccio. I giorni precedenti e quelli subito successivi alla manifestazione dei Rolli, durante la quale il palazzo ha visto un’affluenza di duemila visitatori al giorno, hanno praticamente bonificato il quartiere. Certo quei due giorni non vogliono dire niente nella vita quotidiana degli abitanti della zona, ma vuol dire che se noi ci sforzassimo di concepire i luoghi monumentali come spazi aperti, permeabili, visitabili, teatri di manifestazioni conosciute al pubblico e soprattutto percorribili con delle giornate di apertura che non siano solo i quattro giorni l’anno in occasione delle due edizioni annuali dei Rolli, tutti questi quartieri diventerebbero dei luoghi migliori in cui vivere. Non si può certo far ricadere questo ruolo su un evento episodico come quello dei Rolli Days, ma questi sono una sperimentazione di quello che potrebbe essere la città se noi aprissimo sempre al pubblico questi spazi. Sampierdarena è stata per decenni uno dei giardini più belli d’Europa, oggi è un quartiere irriconoscibile, ma che ha ancora delle zone che possono permettere di considerarlo nei suoi aspetti migliori che ad oggi sembrano persi per sempre. Lo sforzo deve essere esattamente questo: portare le persone a conoscere i propri luoghi, a vederli, ad apprezzarli, ma anche a riconoscerne le problematiche.
Genova quest’anno ha celebrato la sua tradizione barocca con diverse mostre e iniziative, come si collocano i Rolli Days in questo contesto e più in generale all’interno della scena culturale cittadina?
I Rolli Days, come da loro tradizione, fanno da grande collettore, da costruttori di relazioni. Il segno più tangibile è, ad esempio, che sarà possibile entrare a quasi tutte le mostre legate al progetto sui protagonisti del barocco genovese, allestite negli spazi dei principali musei cittadini, in modo gratuito. Questo sicuramente è anche un modo per dimostrare che queste iniziative non sono slegate tra loro, ma fanno parte di uno sforzo corale volto alla conoscenza della città stessa. Il lavoro che è stato fatto sul Barocco in occasione dei Rolli Days di maggio, che è un lavoro di rete attorno alla mostra allestita alle Scuderie del Quirinale, nasce nell’ottica di far concepire le opere d’arte come elementi di lettura di un territorio, documenti straordinari di comprensione della città. Mentre al Quirinale di fatto si è costruita una vera e propria «messa in scena» di ciò che di più bello Genova ha prodotto nei secoli del suo apogeo economico-politico, a Genova si è voluto declinare quei temi, aprire quei contenitori e chiedersi chi fossero realmente Filippo Parodi, Gregorio de Ferrari, come dipingeva il Grechetto e ancora a cosa si arrivò tra Seicento e Settecento con le evoluzioni quasi rocaille di Gregorio de Ferrari. Ogni museo ha dedicato uno spot a questi grandi protagonisti così come a Palazzo Ducale sono arrivate delle opere importantissime che vengono dagli Stati Uniti e che generalmente sarebbe davvero difficile poter ammirare, in quanto molte provengono da collezioni private, mentre alcune erano addirittura sinora inedite. I Rolli Days sono il primo momento in cui, davvero, tutte queste iniziative vanno a sistema e diventano un enorme e straordinario percorso che trova la sua sublimazione nei palazzi. La spregiudicatezza tardobarocca di Bartolomeo Guidobono si può certamente apprezzare nel dipinto su tela all’interno della collezione o della mostra temporanea, ma poi è nella grande galleria del palazzo Centurione Pitto che si coglie davvero la forza dirompente delle sue scelte decorative, così come Domenico Piola come pittore da cavalletto è indubbiamente un grande artista, ma sono i grandi affreschi che popolano i Palazzi dei Rolli a rivelarne la straordinaria abilità che nel secondo Seicento lo rese capace di dominare il mercato artistico della città.
Durante la prossima edizione si apriranno al pubblico oratori, chiese e sacrestie: se infatti i Palazzi dei Rolli e le Strade Nuove costituirono il grande rinnovamento urbano che contribuì a mutare radicalmente la fisionomia del centro storico di matrice medievale tra Cinque e Seicento, anche l’architettura sacra ebbe un ruolo significativo nel nuovo assetto urbanistico della Superba. Quale fu il ruolo degli edifici religiosi per il Barocco genovese?
Storicamente gli edifici religiosi sono stati uno dei maggiori banchi di prova per la grande architettura barocca, perché se i palazzi di Strada Nuova rappresentano la grande architettura rinascimentale, secondo il magistero e le idee rivoluzionarie di Galeazzo Alessi, le imponenti basiliche esprimono l’esplosione della cultura barocca, sia dal punto di vista del rinnovamento architettonico, con i sistemi a colonne binate e le grandi cupole così come per quanto concerne la decorazione, affidata ai pittori delle grandi scuole locali. Mentre i palazzi erano comunque spazi privati, vissuti e frequentati dai proprietari con i loro ospiti, ma non aperti a tutti i cittadini, le chiese hanno sempre avuto il ruolo di grande agorà. Le chiese, insieme ai palazzi, costituiscono un corpo unico, così come le ville naturalmente, e così come anche oratori o ambienti riservati alle compagnie di preghiera, luoghi di una religiosità meno ufficiale ma che spesso avevano accesso a committenze artistiche altrettanto autorevoli. Abbiamo sempre perseguito un intento sistemico nel lavorare con gli uffici della diocesi, fatto di persone meravigliose sempre a disposizione, per trovare davvero un dialogo continuo per la valorizzazione del patrimonio culturale. Grazie a questo lavoro in sinergia, quest’anno le sacrestie monumentali, mai aperte al pubblico, verranno comprese in questa edizione come nuovi spazi condivisi perché custodiscono delle importantissime opere barocche e pertanto perfettamente in tema con gli eventi che la città celebra in questo 2022. Allo stesso modo si è scelto di coinvolgere altri spazi significativi, come l’oratorio di San Giacomo della Marina: qui si trovano opere di Giovanni Battista Carlone, Grechetto, Valerio Castello, Domenico Piola, Orazio De Ferrari, un vero tempio della pittura barocca a Genova nei suoi principali punti di svolta di metà Seicento. La città è un corpo, gli edifici monumentali sono dei modi per conoscerlo in profondità e non va dimenticato che sono tutti edifici in larga parte coinvolti in quella cosiddetta buffer zone del sito UNESCO: certo, non sono Palazzi dei Rolli, ma fanno parte di questo sistema perché si affacciano sulle stesse strade, come ad esempio la chiesa di San Luca che è circondata dai Palazzi delle famiglie Spinola e Grimaldi. Non sono due parti distinte, ma sono parte di un tutto e ovviamente devono essere raccontate con le proprie prerogative, per essere comprese. Mi fa molto piacere poter dire che in questa idea di sinergia tra gli spazi sacri e pubblici e gli spazi dell’aristocrazia (quindi privati), si è lavorato anche nelle cosiddette «delegazioni». A Sampierdarena, ad esempio, faremo vedere la chiesa di Santa Maria della Cella dove è custodito uno straordinario dipinto del Grechetto e, oltretutto, in quella chiesa è ancora conservato l’atto di battesimo di Giovanni Vincenzo Imperiale, che è stato uno dei più grandi letterati barocchi della città. Quest’anno segna anche un’altra fondamentale ricorrenza, quella dei 400 anni dalla pubblicazione del libro di Pietro Paolo Rubens, stampato ad Anversa, dedicato ai Palazzi di Genova e alle sue ville. Un anniversario che è fondamentale ricordare.
L’edizione di questa primavera si prospetta ricca di novità. Quali sono le prospettive e gli obiettivi per le future edizioni?
Gli obiettivi possono essere anche molto ambiziosi, poi si deve vedere le condizioni e le situazioni da cui si parte. Un grande obiettivo può essere quello di consolidare questa relazione nei confronti della formazione dei giovani professionisti, e soprattutto nel cominciare a far diventare consapevoli dello straordinario patrimonio culturale genovese non più solo i cittadini o chi abita vicino a Genova, ma essere davvero capaci di farla diventare una meta culturalmente significativa a livello europeo. Questo non significa strutturare i Rolli Days come un evento esclusivamente turistico, credo però che sia un modo giusto di vedere la prospettiva dei prossimi dieci anni. Ci sono voluti dieci anni per essere una manifestazione di riferimento a livello nazionale, penso che possano volercene altrettanti per diventare un evento di risonanza internazionale. Credo che l’obiettivo debba essere questo: la valorizzazione del sito UNESCO ha funzionato meravigliosamente per costruire un’identità coi cittadini e ha permesso di comprendere quanto fosse importante a livello nazionale proprio per coinvolgere sul territorio tutti gli italiani (abbiamo tantissimi visitatori dalla Toscana, dalla Lombardia, dal Piemonte, dall’ Emilia Romagna), adesso bisogna che questo ruolo venga spostato a livello europeo rendendo la manifestazione dei Rolli Days un appuntamento fisso per il turismo culturale che proviene da altri Paesi. Questo lo dico per un motivo ben preciso: avendo sempre puntato sull’aspetto qualitativo, penso che un evento culturale debba rivolgersi a quel tipo di pubblico che cerca determinate esperienze e che quindi sia giusto essere capaci di intercettare queste richieste per offrire dei prodotti molto elevati. Ritengo che Genova possa candidarsi ad essere una città della cultura, proprio perché ha dimostrato di poterlo fare coinvolgendo tutti gli enti che lavorano sul territorio e fornendo contestualmente una prospettiva di inserimento lavorativo a giovani professionisti. Le carte in regola ci sono tutte. È chiaro che adesso bisogna strutturarle in maniera anche organizzativamente più funzionale con un’iniezione di fiducia e di risorse. Fatto questo, io credo che il salto di qualità si possa fare in tempi anche non necessariamente molto lunghi.
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