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Anny Shaw
Leggi i suoi articoliFrieze New York, famosa per la sua arte supercontemporanea, quest’anno guardava anche al passato, con un maggior numero di proposte di arte del XX secolo rispetto al solito. Tra le new entry in questo settore, Castelli Gallery, Bernard Jacobson, Axel Vervoordt ed Eykyn Maclean, che offriva «Red Rabbit» (1982) di Jean-Michel Basquiat a 8,5 milioni di dollari. Era la prima apparizione a Frieze New York di un’opera dell’artista, ma non è dato sapere se abbia trovato un acquirente, sia pure in un momento favorevolissimo per le opere del «Picasso nero», confermato dai 110 milioni di dollari, cifra record pagata per un suo dipinto passato in asta alla Sotheby’s di New York il 18 maggio, 11 giorni dopo la chiusura dell’edizione 2017 della fiera.
Non è la prima volta che Frieze strizza l’occhio a gallerie attive su una linea storicizzata, in questo riflettendo un clima «retrò» assai in voga di questi tempi e che non ha risparmiato la Biennale di Venezia. Victoria Siddall, direttrice della fiera, ammetteva che l’arte del passato prossimo ha ottenuto un eccellente riscontro a Frieze, sottolineando tuttavia che non ha intenzione di rinunciare alle sue radici contemporanee: «Non abbiamo diminuito il numero di giovani gallerie. Piuttosto, la nuova importanza conferita all’arte più datata aggiunge varietà alla rassegna e offre il contesto al quale si richiamano gli artisti contemporanei». Elizabeth Dee, che proponeva, tra le altre, opere tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta di Annette Lemieux (15mila-55mila dollari), diceva che l’interesse per le opere più storicizzate è riemerso dopo il flop del 2015 del mercato per l’arte emergente: «Oggi i collezionisti sono più interessati al collegamento tra passato e presente». Questo continuum si estendeva per la prima volta all’arte etnografica, con ciò che proponevano Entwistle, Meyer e Donald Ellis. Anthony Meyer, della omonima galleria parigina, affermava che i collezionisti di arte moderna e contemporanea si stanno sempre più aprendo all’arte africana e oceanica. «L’arte contemporanea si basa sull’arte moderna di ieri, che è molto influenzata dall’arte etnografica di inizio Novecento», spiegava. Nel suo stand, 39 tavolette spiritiche della Papua Nuova Guinea, realizzate tra la fine dell’Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento, valutate ognuna da decine di migliaia a più di 100mila dollari.
Tra le opere più antiche in fiera, quelle offerte da Jason Jacques, il primo specialista di ceramiche a esporre a Frieze. Il mercante newyorkese presentava infatti sculture del XIX secolo di Jean-Joseph Carriès (7mila-55mila dollari), accanto a opere contemporanee di Eric Serritella (30mila-150mila dollari). I galleristi hanno negato che questa piega storica di Frieze New York fosse una reazione al lancio della Tefaf arte moderna e contemporanea, che si svolgeva in contemporanea a Manhattan. Diversi mercanti, del resto, partecipavano a entrambe. La Siddall, che ha lanciato Frieze Masters Londra nel 2012, spiegava che non ci sono progetti per un’edizione newyorkese della fiera. Ma l’influsso è stato indiscutibile, con 46 delle 203 gallerie presenti a Frieze New York che avevano partecipato in precedenza a Masters. Nicolò Cardi, con sedi a Londra e a Milano, era tra quelli che sfruttavano al meglio la compresenza Tefaf-Frieze, piazzando nella prima opere di Mimmo Paladino e nella seconda «Palpebra» (1990) di Giuseppe Penone. Prezzi dai 200mila ai 600mila dollari.
Il pericolo viene dall’Europa Ma al di là dell’apertura alla storia, come sono andate le vendite? Come al solito le opinioni sono contrastanti. C’è chi dice che Frieze New York abbia sofferto, e non poco, la latitanza di molti collezionisti europei, impegnati nel pellegrinaggio iniziato con la Biennale di Venezia e che li porterà a Documenta, ad Art Basel e a Skulptur Projecte a Münster e distratti dalla concentrazione fieristica estesa da Bruxelles a Colonia passando per il weekend delle gallerie a Berlino. Senza contare che molte gallerie avevano concluso gli affari più importanti prima dell’apertura ufficiale della fiera. A proposito di Biennale, David Zwirner metteva a segno il sold out con Carol Bove, una delle artiste del padiglione svizzero, con prezzi dai 50mila ai 550mila dollari, mentre otto disegni di Irma Blank, tra gli artisti scelti da Christine Macel per la mostra centrale della Biennale di Venezia «Viva Arte Viva», trovavano acquirenti per cifre tra i 18.500 e i 30mila dollari nello stand della P420 di Bologna.
Altri autorevoli osservatori non ritenevano così determinante l’affollamento del calendario espositivo e fieristico in Europa; lo smantellamento della riforma Obama sull’assistenza sanitaria, ad esempio, ha sgravato da un congruo carico fiscale i cittadini americani più abbienti, tra i quali molti facoltosi collezionisti, inducendoli a quel buon uomore indispensabile per spendere qualche centinaia di milioni in opere d’arte. Non mancavano, del resto, i colpi di mercato particolarmente vistosi, spesso a beneficio di mercanti europei: Thaddaeus Ropac vendeva a 550mila dollari «Bergspitze» (2010) di Georg Baselitz; a 500mila dollari Victoria Miro cedeva invece un’opera di Yayoi Kusama, mentre Lisson piazzava tre sculture di Anish Kapoor, tra le quali «Void» (1990, il primo periodo di affermazione dell’artista angloindiano) a 1,5 milioni di dollari. A 1,1 milioni di dollari, un «tessuto» in alluminio e rame di El Anatsui premiava invece il newyorkese Jack Shainman. Molte, in fiera, le opere legate alla politica americana, tra le quali un ritratto di Donald Trump (45mila dollari) eseguito nel 2004 da Andres Serrano ed esposto provocatoriamente di fronte a quello di un lavoratore messicano dalla parigina Nathalie Obadia. La minaccia della richiesta di impeachement del presidente inguaiato dal Russiagate non aveva ancora invaso le prime pagine dei giornali; né aveva influito sulle quotazioni internazionali del dollaro e, dunque, sull'andamento, peraltro contraddittorio, della fiera.
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