Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliL’asta di arte aborigena che Sotheby’s ha organizzato a Londra il 21 settembre ha confermato che questo è un settore ormai consolidato nel mercato internazionale dell’arte contemporanea, che si confronta alla pari con tutti gli altri e non è il risultato di un collezionismo localistico o delle politiche, peraltro tardive e inefficaci, del governo australiano a favore delle minoranze indigene.
La cosa più significativa di questa vendita è stata la fusione tra le diverse tipologie dell’arte aborigena. Nell’asta, infatti, i quadri degli artisti più affermati erano affiancati da sculture moderne e da reperti (mazze, boomerang, scudi ecc.), che fino a qualche tempo fa si sarebbero definiti di interesse etnografico.
Non mancava nemmeno un dipinto realizzato da un pittore attivo nella prima metà del Novecento, che ha cercato di unire stilemi europei e indigeni, creando un’opera per certi versi simile agli acquerelli aborigeni che Lévi-Strauss aveva definito da «vecchie zitelle».
Nel complesso erano offerti 91 oggetti, di questi ne sono stati venduti 62, pari a una percentuale del venduto del 68%. Il fatturato complessivo dell’asta è stato di 1.882.500 euro, che corrispondono a una percentuale del venduto, per valore, del 76%.
Il top lot dell’asta è stato un quadro con un impressionante curriculum espositivo proveniente dalla collezione Pizzi di Melbourne. Si tratta di «Five stories» di Michael Nelson Jagamara, che è stato venduto a 468mila euro a partire da una stima di 170-230mila. Seguono, poi, una coppia di sculture di Benedict Palmeiua Munkara e un quadro di Warlimpirringa Tjapaltjarri, che sono stati venduti rispettivamente a 293mila e a 195mila euro a partire da stime di 35-58mila e di 58-93mila.
I risultati più sorprendenti, tuttavia, sono quelli di una particolare tipologia di sculture alte e strettissime (arrivano anche a 269 cm), che in alcuni casi sono state vendute a prezzi pari a quattro-cinque volte le stime. La più cara, un’esilissima figura antropomorfa è arrivata a 41mila euro a partire da una stima di 6-9mila. Nell’asta erano presenti anche due boomerang del XIX secolo, che sono stati venduti a prezzi molto ragionevoli: 2.300 e 7.300 euro (quest’ultimo prezzo, però, comprende anche una mazza).
Altri articoli dell'autore
Il 27 giugno è mancato l’archeologo bresciano che ha dedicato la sua vita allo studio delle culture dell’America precolombiana
Le curatrici delle sezioni Africa, Oceania e Americhe illustrano opere, scoperte, attribuzioni e spazi della nuova Rockefeller Wing del Metropolitan Museum of Art
Chiusa nel 2021, riapre domani al museo di New York una delle collezioni di antropologia più importanti al mondo: 1.850 reperti di arte dell'Africa, dell'Oceania e delle Americhe, allestiti su 3.700 metri quadrati da Why Architecture
Chiusa dal 2021 per lavori, l’ala riservata all’arte dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe sarà nuovamente accessibile dal 31 maggio. La sua apertura nel 1982 fu un capitolo chiave nella storia dell’arte mondiale. «Nel corso dei millenni, le tradizioni artistiche indigene sono emerse, sono fiorite e si sono evolute anche dopo l’invasione europea», spiega la curatrice Joanne Pillsbury