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Campagna di indagini sul murale «Musica Popolare» nel quartiere Ortica di Milano. La fotografia ritre la fase di acquisizione iperspettrale

Foto courtesy Nicodemo Abate e Laura Cartechini

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Campagna di indagini sul murale «Musica Popolare» nel quartiere Ortica di Milano. La fotografia ritre la fase di acquisizione iperspettrale

Foto courtesy Nicodemo Abate e Laura Cartechini

Dai dipinti antichi ai murales della Street Art, studiare i colori con i droni

Ricerche condotte dalle Università di Pisa e di Perugia con il Cnr grazie all’utilizzo di questa nuova metodologia rappresentano una prova importante per l’applicazione di strategie di conservazione sostenibili e non invasive alle opere murali contemporanee. Il caso di «Musica Popolare» nel quartiere milanese dell’Ortica raccontato da Nicola Masini, direttore di ricerca presso l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale 

 

 

La prestigiosa rivista statunitense «Pnas-Proceedings of the National Academy of Sciences» ha pubblicato di recente (2 settembre 2025, vol. 122, n. 35)  i risultati di uno studio sui murales e sulla  Street Art. La ricerca è stata condotta nell’ambito di un progetto, coordinato da Francesca Modugno (Università di Pisa), con la collaborazione di Ilaria Degano (Università di Pisa), Aldo Romani (Università di Perugia) e diversi specialisti del Cnr, tra cui per ragioni di spazio possiamo solo citare: Nicola Masini, Laura Cartechini, che ha condotto le analisi spettroscopiche dei pigmenti, e Nicodemo Abate, esperto di droni. Obiettivo: indagare con un approccio non invasivo e con tecniche di laboratorio la composizione delle vernici dei murales e comprenderne i meccanismi di degrado. Dei risultati di questo studio, abbiamo parlato con Nicola Masini, direttore di ricerca presso l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale, che, in particolare, si occupa di metodologie avanzate di diagnostica applicate alla ricerca archeologica e alla conservazione del patrimonio culturale.

Nicola Masini, quali risultati avete raggiunto in questa prima ricerca?
Il caso di studio ha riguardato il murale «Musica Popolare» realizzato dal collettivo artistico Orticanoodles, nel quartiere Ortica di Milano, un’opera di quasi 400 metri quadrati. In questa ricerca è stato sviluppato un metodo innovativo, che integra analisi spettroscopiche portatili, tecniche di analisi iperspettrali da terra e multispettrali da drone, con analisi chimiche di laboratorio su microcampioni. Le analisi hanno consentito di ottenere mappe chimiche e cromatiche ad alta risoluzione e di definire le basi per monitorare lo stato di conservazione dell’opera nel tempo, riducendo significativamente costi e tempi rispetto ai metodi tradizionali. Le indagini hanno mostrato che i rossi contenenti il pigmento PR112 sono particolarmente vulnerabili alla luce e agli agenti atmosferici, mentre i toni gialli, viola, grigi e neri presentano maggiore stabilità. Inoltre, l’impiego di leganti acrilici e stirenici ha inciso sullo sbiadimento e sullo sfarinamento della superficie pittorica, anche per effetto della presenza nella pittura di biossido di titanio, che, com’è noto, accelera i processi di foto ossidazione.

Com’è nato il progetto?
È nato all’interno di un gruppo multidisciplinare composto da chimici, fisici, archeologi, ingegneri ed esperti di remote sensing delle Università di Pisa e Perugia e del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Perugia, di Pisa e di Potenza. Il gruppo ha voluto trasferire le metodologie e gli strumenti sviluppati per l’analisi e la conservazione dei dipinti storici al mondo della Street Art, un patrimonio culturale contemporaneo, ma estremamente fragile, realizzato con materiali industriali (vernici e resine sintetiche, formulazioni per bombolette spray) soggetti a degrado accelerato per effetto dell’ambiente urbano. Da questa visione è nata la proposta di sviluppare strategie di diagnostica e monitoraggio sostenibili, basate su tecniche non invasive. Il nostro obiettivo era duplice: comprendere i processi di alterazione dei materiali pittorici e definire modelli replicabili di conservazione preventiva per opere murali di grandi dimensioni.

Quali difficoltà avete incontrato?
Le principali difficoltà sono state di natura tecnica e logistica. I murales, a differenza delle opere conservate in museo, si trovano su facciate esposte a sole, pioggia, smog e vibrazioni urbane, condizioni che rendono i rilievi molto più complessi. È stato necessario adattare gli strumenti di diagnostica, originariamente pensati per opere su cavalletto o affreschi interni, a superfici verticali di grandi dimensioni, spesso accessibili solo tramite piattaforme mobili. Una delle sfide più impegnative è stato l’impiego dei droni in contesti urbani: tra permessi di volo, interferenze magnetiche, reti elettriche e presenza di traffico: per noi ottenere immagini stabili e accuratamente calibrate è stato un vero esercizio di precisione. A ciò si è aggiunta la complessità di integrare dati provenienti da strumenti e metodologie differenti (analisi chimiche, spettroscopiche, imaging iperspettrale e rilievi multispettrali da drone) per costruire mappe coerenti e confrontabili. E qui mi sembra importante precisare che l’imaging iperspettrale è una tecnica con la quale si analizza un’immagine con centinaia di bande dello spettro elettromagnetico e che, nel nostro caso, ha consentito di rilevare alterazioni invisibili all’occhio umano e di creare mappe cromatiche e compositive utili per il monitoraggio e la conservazione delle superfici dipinte. Nonostante queste difficoltà, il progetto si è rivelato un laboratorio di sperimentazione unico, capace di far dialogare discipline diverse e di ampliare in modo concreto i confini della ricerca applicata alla conservazione del patrimonio contemporaneo.

Quali sono i risultati più interessanti?
Sicuramente la caratterizzazione chimica e spettroscopica dei pigmenti e dei leganti utilizzati nella Street Art, che ha permesso di studiare i meccanismi di degrado e la diversa resistenza dei colori agli agenti ambientali. Un altro risultato di rilievo è lo sviluppo e la validazione di un approccio diagnostico integrato, che combina analisi chimiche di laboratorio, analisi spettroscopiche da terra e multispettrali da drone, che consentono di mappare con precisione la distribuzione dei materiali e, in prospettiva, di monitorare l’evoluzione del degrado su superfici di grandi dimensioni riducendo tempi e costi rispetto ai metodi tradizionali. Questa metodologia rappresenta una prova molto importante per l’applicazione di strategie di conservazione sostenibili e non invasive alla Street Art e più in generale alle opere murali contemporanee, aprendo nuove prospettive di ricerca e tutela.

Contate di utilizzare questi droni in campo archeologico?
Nel campo dell’archeologia, la sfida oggi è usare al meglio strumenti come il LiDAR su drone per guardare «attraverso» la vegetazione e svelare tracce e microtopografie del paesaggio, che resterebbero invisibili alle camere ottiche e difficilmente individuabili con i metodi tradizionali di scavo o ricognizione. È una tecnologia che ci permette letteralmente di far riemergere dal bosco interi paesaggi scomparsi. In continuità con le ricerche che portiamo avanti da anni, stiamo preparando nuove campagne in Italia, in particolare in Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, per individuare e studiare villaggi, dall’età protostorica a quella medievale. Allo stesso tempo, in Perù, intorno a Machu Picchu, lavoreremo per la prima volta su siti Inca nascosti dalla fitta vegetazione della selva che potrebbero raccontarci molto sulla vita quotidiana e sull’organizzazione territoriale dell’impero incaico.

 

 

 

 

 

Antonio Aimi, 15 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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