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Antonio Aimi
Leggi i suoi articoliCom’era logico aspettarsi, la riapertura della nuova Rockefeller Wing del Metropolitan Museum of Art (Met) di New York, che di fatto è uno dei musei di antropologia più importanti del mondo, ha riscosso un notevole successo. Anche se al momento in cui scriviamo non ci sono ancora dati ufficiali, si sa che la nuova sezione del museo è stata visitata da un numero di persone superiore al previsto e che il 31 maggio, il giorno dell’inaugurazione, il Met ha registrato il più alto numero di presenze dal 2020.
Ovviamente non stupisce che la riapertura della nuova sezione sia stata salutata con commenti positivi dagli specialisti e dai politici della città americana. Una delle osservazioni più interessanti, alla luce dei rapporti tra musei e istituzioni, è stata quella di Adrienne Adams, speaker del Consiglio municipale di New York, che ha dichiarato che il «Consiglio è orgoglioso di aver investito milioni di dollari in finanziamenti per il Met» e che continuerà a finanziare il museo perché vuole fare di New York «la capitale culturale del mondo». Dal canto suo, Max Hollein, il direttore del museo, ha ringraziato la Città per il suo sostegno, aggiungendo che nella nuova sezione antropologica del Met «si celebrano le tradizioni artistiche di tutto il mondo, proprio quelle che rendono New York una delle metropoli più varie e vivaci a livello globale».
Ma al di là di queste osservazioni, è molto importante mettere in evidenza che nelle nuove sale della Rockefeller Wing sono riusciti a coniugare mirabilmente un allestimento di grande impatto con il rigore scientifico di un museo di antropologia. Nel percorso espositivo in alcuni punti sono allestite opere di grandi dimensioni (sculture, elementi architettonici ecc.), poste in dialogo con quelle più piccole esposte in vetrine trasparenti, che consentono di vedere tutti i lati degli oggetti esposti. Un esempio importante dell’impatto scenografico della nuova Rockefeller Wing è costituito dal soffitto, lungo una decina di metri, della «casa» più importante dei Kwoma, una popolazione della Papua Nuova Guinea. Quest’opera, che è collocata in alto, proprio sopra alcune delle vetrine, è costituita da 170 grandi foglie di palma che sono state dipinte negli anni Settanta da artisti di questa popolazione.
Un’altra opera di grande impatto, creata ad hoc, è un pannello lungo circa sei metri costituito dall’accostamento di nove pannelli con penne, ciascuno dei quali è diviso in quattro quadranti, due blu e due gialli. Questi pannelli, realizzati da artisti della Scuola de la Victoria, sono un mirabile esempio di armonia del contrasto cromatico, messo in evidenza da Kandinskij, ancora prima che questi pannelli fossero scoperti.
Parallelamente si deve sottolineare che il rigore scientifico degli specialisti è documentato sia dai «rollout» dei disegni di alcuni dei pezzi esposti, sia dalle didascalie e dai testi dei riquadri introduttivi, che in alcuni casi presentano schede di approfondimento per le tematiche più complicate.
Sul lavoro fatto nella realizzazione della nuova Rockefeller Wing abbiamo intervistato tre curatrici del Met, Alisa LaGamma, Maia Nuku e Joanne Pillsbury che lavorano rispettivamente nelle sezioni dell’Africa, dell’Oceania e delle Americhe.

Panoramica di una sala dedicata all’arte oceanica. In primo piano si possono vedere due maschere-costume Asmat. Photo: Bruce Schwarz. Courtesy Metropolitan Museum of Art, New York
Quali nuovi dati caratterizzano ora la presentazione delle diverse culture da un punto di vista antropologico, archeologico e artistico?
Alisa LaGamma (curatrice sezione Africa): Dopo le ricerche che hanno ampliato e approfondito significativamente la nostra comprensione della storia straordinariamente ricca dell'arte dell’Africa subsahariana, noi abbiamo presentato una panoramica delle principali correnti artistiche fiorite dal Mali al Madagascar e la stiamo integrando con brevi documentari girati in loco, che presentano importanti riflessioni di esperti regionali.
Maia Nuku (curatrice sezione Oceania): Nelle nuove gallerie sono esposte notevoli opere d’arte, realizzate negli ultimi 500 anni dai migliori artisti dell’Oceania, in un’entusiasmante serie di otto gallerie interconnesse, organizzate in un nuovo layout dinamico che si estende diagonalmente attraverso la nuova sezione del museo. L’azione delle opere d'arte viene enfatizzata e consente di riconoscere la continua rilevanza dell’arte per le comunità odierne del Pacifico.
Joanne Pillsbury (curatrice sezione Americhe): Dato che abbiamo compreso che l’interazione tra le regioni delle Americhe era maggiore di quanto si pensasse in passato, le nuove gallerie e i nuovi testi riflettono queste recenti e stimolanti conoscenze archeologiche. Ad esempio, mentre negli anni Novanta tutto l'oro proveniente dalle Americhe era esposto insieme in un’unica, piccola galleria, mescolando diverse regioni e periodi storici, ora, grazie alle nuove conoscenze, possiamo presentare la storia dell’oreficeria, dalla sua prima comparsa in Perù intorno al 2000 a.C. fino al suo arrivo in Messico dopo il 1000 d.C.
Che cosa è cambiato nelle gallerie e nelle vetrine rispetto all’allestimento precedente?
LaGamma: Nel nuovo allestimento c’è una maggiore diversità di tipologie e la scultura si integra con le brillanti tradizioni tessili e decorative, che arricchivano le città e i villaggi. Inoltre, voglio sottolineare che la nuova Rockefeller Wing presenta opere d’arte in cui riconosciamo straordinari risultati estetici, che vengono collocate in precisi periodi storici e sono attribuite il più possibile a singoli individui e botteghe.
Nuku: La collezione d’arte oceanica è cresciuta e si è ampliata negli ultimi anni con l’acquisizione di importanti nuove opere di artiste dell’Australia, della Nuova Zelanda e della Papua Nuova Guinea. Questo è stato un modo importante per ricalibrare la precedente presentazione, fortemente incentrata sui rituali maschili e sull’architettura cerimoniale della Papua Nuova Guinea. Le nuove opere includono tessuti con perline e dipinti contemporanei su sottocorteccia d’albero dell’artista aborigena australiana Nonggirrnga Marawili, le cui pratiche artistiche contemporanee sono una continuazione di tradizioni consuetudinarie stabilite oltre 60mila anni fa.
Pillsbury: Un cambiamento importante è che siamo riusciti a guadagnare più spazio rimuovendo le aree di deposito che si trovavano dietro le teche. Questo ci ha permesso di esporre più opere a tutto tondo, perché presentiamo molte sculture. Un’altra novità molto rilevante è che siamo riusciti ad aggiungere una galleria con tessuti dell’antico Perù, con un’illuminazione adeguata e una struttura flessibile che ci permetterà di sostituire periodicamente questi oggetti fotosensibili, alcuni dei quali risalgono a oltre 1.500 anni fa.

Il grande pannello formato da nove pannelli di penne della Scuola de la Victoria della cultura Huari. Nella vetrina sulla destra si possono notare un copricapo e uno scettro Chimú. Photo: Brigit Beyer. Courtesy Metropolitan Museum of Art, New York
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