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La Grande Galleria Assira del Museo Nazionale dell’Iraq a Baghdad dopo gli interventi italiani di riallestimento (2004-08) realizzati dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino

Photo © Crast

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La Grande Galleria Assira del Museo Nazionale dell’Iraq a Baghdad dopo gli interventi italiani di riallestimento (2004-08) realizzati dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino

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Vent’anni fa a Baghdad: numeri e bersagli anziché individui

Minima Mediterranea • Oggi come in passato, la tragedia della guerra disumanizza e annienta l’individualità della persona. Ci vorranno generazioni per riprendersi

Questa è una storia personale che però, oggi, può avere un valore più ampio. Una ventina d’anni fa, tra il novembre 2003 e il giugno 2004, sono inviato dal Ministero degli Affari Esteri quale «esperto del settore» a Baghdad a lavorare presso la Cpa (Coalition Provisional Authority, ovvero il Governo Provvisorio della Coalizione che aveva occupato l’Iraq) nel Ministero della Cultura guidato dall’ambasciatore Mario Bondioli Osio. Al mio arrivo, avvenuto non senza qualche imprevisto e traversia tipici della disorganizzazione italica, mi fu affidata una delega piuttosto ampia, dovendomi occupare del «Cultural Heritage»

Per mestiere e vocazione, il mio impegno principale (ma nei mesi trascorsi a Baghdad mi sono interessato di tutto un po’: dal teatro al cinema, dalla musica alla cucina, dalle biblioteche all’artigianato, e ovviamente ai monumenti e siti archeologici) si è svolto e concretizzato in due missioni principali. La prima: supporto e riorganizzazione del Museo Nazionale dell’Iraq, com’è noto saccheggiato l’11 aprile 2003, essendo stato colpevolmente lasciato senza alcuna protezione, garantita peraltro ad altri luoghi meno significativi. La seconda: redigere un rapporto documentato relativo ai danni subìti dai monumenti di Baghdad e dintorni a seguito degli eventi bellici

Fin dal primo momento mi è balzato agli occhi che per quanto la mia opera fosse improntata a puro «spirito di servizio» e tesa a favorire una corretta ripresa della collaborazione con gli enti culturali iracheni («Siamo stati isolati per oltre vent’anni», mi dicevano in molti), senza alcuna velleità personale colonialista, oggettivamente come tale (colonialista) ero sentito, e in più come «occupante»; io stesso in circostanze analoghe e rovesciate, mi sarei sentito di resistere a un «aiuto» non richiesto e forse indesiderato. Insomma, la prospettiva dalla quale si guardano le cose è sempre soggettiva. Al Museo, dove lavoravano circa 400 persone (i numeri esatti non li sapeva nessuno; nemmeno il direttore), ero Giovanni, un archeologo, uno storico dell’arte islamica e per molti un amico. Ero me stesso, avevo una personalità, una storia, pregi e difetti, un’umanità. Per strada no. Lì ero depersonalizzato; ero un invasore, e, come tale, un bersaglio, un target privo di ogni individualità. In definitiva nemmeno un uomo. 

Giovanni Curatola, 08 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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