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Un momento degli Stati Generali della Cultura a Torino, oggi 14 settembre

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Un momento degli Stati Generali della Cultura a Torino, oggi 14 settembre

Stati Generali della Cultura 2023: a che punto siamo e dove andiamo

A Milano e Torino, «Il Sole 24 Ore» ha organizzato due giornate di incontri tra «addetti ai lavori»: identità culturale, finanziamenti, pubblico e privato, musei, editoria, innovazione... Ospiti i ministri Gennaro Sangiuliano e Antonio Tajani (ma solo in collegamento da remoto)

Alessandro Martini

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La due giorni degli Stati Generali della cultura 2023 (13 e 14 settembre), organizzata da «Il Sole 24 Ore» con il titolo ambizioso (forse troppo, alla luce di quanto detto e deciso) «Valicare i confini per un nuovo sistema-Paese», si è chiusa oggi a Torino (dopo l’avvio ieri a Milano) con il confronto tra protagonisti (a vario titolo e livello) nei diversi settori dei nuovi modelli di fruizione del patrimonio culturale, dell’«identità culturale» italiana, dei media, dell’editoria, del cinema e tv, del mondo della comunicazione e del design, con ripetuti affondi sugli investimenti privati nel quadro delle programmazioni pubbliche («Stati Generali della Cultura 2023»).

Ospiti attesi, rispettivamente a Milano e Torino, i ministri Gennaro Sangiuliano (Cultura) e Antonio Tajani (Esteri). Entrambi, però, in collegamento da remoto. Presenti a Milano, tra gli altri, Giuseppe Sala e Tommaso Sacchi (sindaco e assessore alla Cultura del Comune), il rettore dell’Università Bocconi Francesco Billari, il presidente Confindustria Cultura Italia Innocenzo Cipolletta, la direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella e Alfonsina Russo, direttore generale del Parco archeologico del Colosseo di Roma.

Il 14 settembre il «summit» è proseguito e si è concluso a Torino, nella Cavallerizza Reale alla vigilia di un’ambiziosa riqualificazione, su progetto di Cino Zucchi. La giornata si sviluppa attraverso interventi e tavole rotonde, dedicate ai più diversi temi: se a Milano si è parlato di cultura d'impressa e professioni culturali, giornalismo e poli di innovazione, a Torino ci si è dedicati a «come esportare l’arte del Made in Italy» (presente Maria Porro, presidente del Salone del Mobile di Milano), «il libro come ambasciatore di culture» (con Annalena Benini, neodirettrice del Salone del Libro di Torino), «la cultura e l’economia dell’immaginario».

Particolarmente densa la sezione «Investimenti privati, programmazioni pubbliche: liberare il patrimonio del Paese», presente il segretario generale del MiC Mario Turetta seguito da un «panel discussion» con Alberto Anfossi, segretario generale Fondazione Compagnia di San Paolo, Michele Coppola, executive director Arte, Cultura e Beni Storici Intesa Sanpaolo, direttore Gallerie d’Italia, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, presidente Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Andrea Varese, segretario generale Fondazione Crt, e Alessandra Vittorini, direttore Fondazione Scuola dei Beni e delle Attività culturali del Mic.

In un ideale tandem tra le due città, a Torino si è ripartiti dai temi emersi nella prima giornata, sintetizzabili in poche ma chiare esigenze condivise dagli operatori: non solo la scontata attesa di maggiori di fondi e finanziamenti (urgenza valida in ogni stagione), ma soprattutto la pressante richiesta di competenze, creatività, di un «saper fare» che possa davvero qualificare il lavoro culturale italiano. Ma anche un’attenzione a ciò che può realmente identificare e qualificare la cultura e la produzione culturale del nostro Paese.

È un concetto forte, più volte ripetuto: «Quanto più la cultura è radicata nel territorio, tanto più ha riscontro e riconoscimento internazionale». Non è stata l'occasione di promesse, ma neanche di progetti particolarmente inediti o innovativi. Semmai, di preoccupazioni legate al buon uso dei fondi del Pnrr e, ancora, di scampato pericolo rispetto al Covid-19 che, secondo molti dei partecipanti, ha davvero cambiato il sistema della cultura.

Il ministro Sangiuliano ha decantato orgoglioso i recenti provvedimenti: «Sul fonte della riforma dei musei, abbiamo aumentato lo strumento dell’autonomia inventato dal mio predecessore Dario Franceschini, di cui riconosco la qualità. Siamo arrivati a concedere l’autonomia a 60 musei statali: ognuno di loro avrà un direttore scientifico che sarà anche un po’ manager. Oggi i musei italiani non sono più ammuffiti come un tempo, sono davvero belli. Vi invito ad andare ad ammirarli. Perché qui non parliamo di progetti, ma di cose che stanno avvenendo davvero. Per il futuro, stiamo lavorando a tre grandi raddoppi: la Pinacoteca di Brera nella sede di Palazzo Citterio, gli “Uffizi diffusi” nelle ville medicee di Careggi e dell'Ambrogiana a Montelupo e, infine, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli nei nuovi spazi previsti a Palazzo Fuga».

Il ministro ha espresso soddisfazione anche per i risultati di pubblico: «È stata un’estate davvero molto positiva. Fate un confronto con i giornali di qualche anno fa: quest’estate non ci sono stati i titoli sui turisti beffati dalla chiusura dei musei a ferragosto. Successo anche per il biglietto introdotto per l’ingresso al Pantheon: quando fai pagare la gente apprezza di più ciò che gli si offre. E poi i ricavi sono vincolati in parte alla cura del bene e della piazza. In generale, siamo una superpotenza culturale. È una valutazione storica, senza alcuna volontà di prevaricazione…», ha spiegato.

«Siamo un Paese stretto e profondo, sempre a rischio di essere schiacciato dalla sua storia», aveva dichiarato poco prima Miguel Gotor, assessore comunale alla Cultura di Roma. «Se esiste un’identità italiana è plurale e stratificata».

Gli ha fatto eco Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino: «Abbiamo un enorme patrimonio culturale ma quanto riusciamo davvero a produrre innovazione? Quanto riusciamo a essere “musei” e quanto siamo, invece, poco più che depositi? La partecipazione culturale degli italiani è bassissima. Solo il 27 per cento dei nostri concittadini dichiara di andare in un museo una volta all’anno». Facendo poi un appello, anche sulla base dei lunghi anni trascorsi a studiare e lavorare nei Paesi Bassi: «Smettiamola con la deportazione delle scolaresche una volta all’anno in un museo. Portiamo i nostri 4.600 musei a diventare delle classi davvero “formative”, in cui fare lezione ogni giorno. Vinceremo la sfida se i musei italiani diventeranno davvero la casa degli italiani. Come? Un esempio: nei musei in Svezia non aprono ristoranti stellati, ma mettono a disposizione grandi sale in cui i cittadini si portano da mangiare da casa e vivono i musei come parte della propria quotidianità».
 

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Alessandro Martini, 14 settembre 2023 | © Riproduzione riservata

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