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Ralph Gleis.

© Staatliche Museen zu Berlin. Foto: David von Becker

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Ralph Gleis.

© Staatliche Museen zu Berlin. Foto: David von Becker

Sostenibilità, cooperazioni internazionali e mecenati: ecco la road map dell’Albertina

Un’intervista esclusiva di «Il Giornale dell’Arte» con Ralph Gleis, direttore designato del museo viennese, che entrerà in carica nel 2025

Flavia Foradini

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Nato in Germania, 50 anni appena compiuti, Ralph Gleis è dal 2017 alla guida della Alte Nationalgalerie di Berlino (con contratto senza scadenza), e dal 2009 al 2017 è stato curatore del Wien Museum, nella capitale austriaca. Non è dunque un caso che la mostra più recente che ha cocurato («Secessionen. Klimt-Stuck-Liebermann») sia frutto di una stretta collaborazione tra la Alte Nationalgalerie e il Wien Museum. Quando dal primo gennaio 2025 prenderà il posto di Klaus Albrecht Schröder, che avrà guidato l’Albertina per un quarto di secolo, per Gleis si tratterà perciò di un ritorno in una città, Vienna, che conosce bene e dove ha realizzato numerose mostre di pregio sul periodo di cui è specialista, l’Ottocento e il primo Novecento. A Berlino il suo prossimo grande progetto per il suo ultimo anno, ci dice, sarà il 250mo anniversario della nascita di Caspar David Friedrich.

Ralph Gleis, partiamo dai suoi studi di storia dell’arte, sociologia e storia: oltre che a Münster e a Colonia lei ha anche studiato all’Università di Bologna. Come ricorda quell’esperienza?

È stato un soggiorno di studio dall’agosto 1998 all’aprile 1999 e con l’occasione ho seguito anche le lezioni di semiotica di Umberto Eco e ne sono rimasto molto colpito. In quel periodo ho però soprattutto dedicato tempo allo studio di opere in molti musei italiani, in particolare agli Uffizi.

Che cosa l’ha indotta a candidarsi alla direzione dell’Albertina?

È un museo con una collezione grafica di rango mondiale e ha vaste collezioni di pittura, scultura, fotografia e architettura dal periodo gotico ai giorni nostri. Insieme all’Albertina modern è uno dei musei di punta a livello internazionale. Io ho sempre avuto esperienze speciali ogni volta che l’ho visitata, e quindi portare avanti il suo sviluppo è un compito affascinante e naturalmente anche una sfida che assumo volentieri.

A Vienna in parallelo al bando per l’Albertina si è svolto quello per il Kunsthistorisches Museum. Si era candidato anche per quella direzione?

No.

Appena un anno fa Hermann Parzinger, presidente della Stiftung Preussischer Kulturbesitz, di cui la Alte Nationalgalerie è parte, l’aveva lodato come «esperto eccellente che ha dimostrato come sia possibile raggiungere e entusiasmare il grande pubblico con mostre di rilevanza sociale e che pongono domande all’attualità; un esperto che sa come creare stimolanti esperienze museali e sotto la cui direzione la Alte Nationalgalerie è diventata una delle istituzioni di maggior successo fra i musei statali di Berlino». Nonostante ciò lei a gennaio 2023 ha deciso di candidarsi a Vienna. Che cosa hanno di diverso le due capitali?

In entrambe le città vi sono musei eccellenti e di lunga tradizione, con vaste collezioni apprezzate a livello internazionale. Però le strutture su cui poggiano sono diverse: a Berlino la gestione è fortemente centralizzata e poco flessibile. E infatti attualmente si sta lavorando a una riforma che migliori la situazione. I musei statali di Vienna godono invece di una maggiore autonomia e quindi hanno più libertà nello sviluppo del loro potenziale.

L’ancora direttore dell’Albertina, Klaus Albrecht Schröder, fin dalla riapertura del museo nel 2003 dopo un radicale restauro, ha aperto il museo a 360 gradi con attività non solo nel campo della grafica, ma anche della pittura, della fotografia e dell’arte contemporanea, rifondando di fatto l’ente come museo generalista. Negli anni la risposta sia del pubblico sia degli addetti è stata sempre più positiva e l’Albertina è passata da poche migliaia di visitatori a circa un milione all’anno, con una percentuale di propria copertura dei costi fra le più elevate in Austria. L’impronta di Klaus Albrecht Schröder sull’Albertina è stata talmente incisiva, da creare in città il neologismo “Albrechtina”. Pensa sia possibile mantenere questo livello o magari anche migliorarlo?

Credo che per continuare a proporre un programma espositivo eccellente e con risonanza internazionale una chiave fondamentale siano le cooperazioni sovranazionali: partnership selezionate con cura e con un orizzonte a lungo termine possono creare sinergie scientifiche fertili, rendendo anche possibili scambi di blocchi di collezioni. In questo modo si può aumentare la capacità di attrazione delle mostre e ridurre al tempo stesso fortemente il peso economico. Il mio compito sarà quindi quello di continuare la storia di successo dell’Albertina con mostre di qualità elevata, che tengano conto delle sfide del nostro tempo.

Un asso nella manica di Schröder è stato in questi anni l’acquisizione di collezioni rilevanti per donazione o per comodato, o anche di creazioni ex novo, come nel caso della collezione fotografica. Pensa di voler continuare a coltivare rapporti stretti e intensi con collezionisti privati e sponsor o ritiene piuttosto che un museo pubblico debba evitare questo tipo di sinergie?

Con la collezione Batliner l’Albertina ha potuto dotarsi nel 2007 di una mostra permanente che di solito le collezioni grafiche non possiedono. Quello è stato un passo strategico e nel prossimo futuro sarà opportuno convincere ulteriori collezionisti a impegnarsi a lungo termine con il museo, perché in quanto collezione dinamica e in quanto ente anche di ricerca, per poter crescere non si può fare a meno dei mecenati e dei sostenitori. Ho quindi intenzione di ampliare e rafforzare i rapporti con stakeholders internazionali, in modo da poter colmare delle lacune nella collezione e renderla una forte colonna portante del museo.

La sottosegretaria alla Cultura Andrea Mayer, che ha presieduto la selezione dei candidati alla direzione dell’Albertina, alla presentazione della sua nomina ha detto di aspettarsi «che il museo resti nell’elite del paesaggio museale internazionale, con grandi nomi e grandi mostre, ma anche con un ritmo gradualmente un po’ più lento». Lei come interpreta queste indicazioni?

Al momento tutti i musei lavorano alla formulazione di programmi espositivi che siano sostenibili dal punto di vista economico e ecologico. L’Albertina rimarrà un luogo di esperienze artistiche di particolare pregio. Però si può riflettere se invece di avere sei mostre temporanee in parallelo, si possa rinunciare magari a una, oppure se una di esse possa avere una durata più lunga.

Penso anche che i temi più interessanti per delle mostre sono quelli che derivano da questioni sociali di attualità, anche se non si tratta di temi legati necessariamente a un luogo o un Paese specifico. Il mio intento è quello di mettere ancora più a fuoco il profilo internazionale dell’Albertina, grazie a un’attività variegata e inserita nei dibattiti di oggi e al tempo stesso vorrei affermare chiaramente la fisionomia del museo come diversa da quella di altre istituzioni della città. Comunque sia il mio approccio è: piuttosto che a grandi nomi, dare maggior peso alla concezione scientifica delle mostre, e là dove vi siano grandi nomi, supportarli con una solida concezione scientifica.

A proposito di attività scientifica, vi sono settori particolari in cui lei vorrebbe dare impulsi all’attività di ricerca dell’Albertina?

Anche se può sembrare un paradosso, io credo che una ricerca qualitativamente eccellente sulla collezione grafica possa essere coniugata con l’idea di un museo per tutti. Già ora all’Albertina si portano avanti ricerche ad alto livello e vorrei comunicarle più efficacemente al pubblico. Sto quindi pensando di creare un centro di competenza specifico per l’arte su carta.

L’Albertina Modern è stata inaugurata nel 2020 per offrire spazi dedicati all’arte contemporanea. Che progetti ha per questa seconda sede?

Grazie alla collezione Essl il portfolio dell’Albertina nell’ambito del XX secolo si è rafforzato e la dependance sulla Karlsplatz è un’offerta attraente, che ha avuto un avvio molto positivo e si è collocata bene nel contesto del paesaggio museale viennese. Quindi ho intenzione di continuare a mettere a fuoco questo profilo con mostre adeguate.

Un terzo ampliamento dell’Albertina è alle porte, con la riapertura al pubblico a Klosterneuburg, fuori Vienna, dell’ex Museo Essl (NdR: attivo tra il 1999 e il 2016). Crede che una terza sede sia necessaria? Il Museo Essl ha sofferto parecchio della sua collocazione fuori città. Pensa sia possibile ovviare a questo problema?

Il primo fine di un museo è rendere accessibili al pubblico le proprie opere, là dove siano rilevanti per la società e per l’epoca. Con 1,2 milioni di opere l’Albertina è uno dei maggiori musei al mondo. Però questi capolavori hanno bisogno anche di un luogo adeguato per essere presentati congruamente al pubblico. Il pregevole edificio Essl progettato dall’architetto Heinz Tesar viene usato da anni come deposito dell’Albertina, ma è stato concepito come museo e quindi è naturale volerlo rivitalizzare in questo senso. Del resto i suoi vasti e alti spazi offrono un’ideale cornice per sculture. Va poi anche detto che un opportuno ampliamento della superficie espositiva potrebbe stimolare anche ulteriori donazioni all’Albertina.

L’edificio che ospita l’Albertina di Vienna

Flavia Foradini, 03 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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