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La mappa con le zone a rischio nel Mediterraneo pubblicata da «Nature» nel 2018. Già allora si trattava di una situazione di emergenza, ad oggi è peggiorata senza nessuna misura concreta

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La mappa con le zone a rischio nel Mediterraneo pubblicata da «Nature» nel 2018. Già allora si trattava di una situazione di emergenza, ad oggi è peggiorata senza nessuna misura concreta

Se Salvini volesse diventare l’uomo del destino…

Entro il 2100 l’innalzamento medio del mare cancellerà 14 siti italiani inseriti nella Lista Unesco del patrimonio mondiale, se non si pianificano misure divenute indifferibili. Il ministro delle Infrastrutture potrebbe prendere esempio dall’efficiente modello olandese di gestione dei rischi causati dal cambiamento climatico

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Anna Somers Cocks

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Nessun Governo italiano ha mosso un dito per impedirla, eppure è una morte annunciata. Entro il 2100 più siti dell’Italia che di qualsiasi altro Paese mediterraneo nella lista del Patrimonio Mondiale Unesco, ben 14 su un totale di 49, sono destinati a essere distrutti dall’innalzamento del livello medio del mare se non vengono pianificate ed eseguite subito misure importantissime a lungo termine per evitarlo.

È quanto risulta dalle ricerche condotte dall’Università di Kiel in Germania (pubblicate nel 2018) sulle conseguenze che avranno i vari scenari di cambiamento climatico modellati dall’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), le cui previsioni sull’innalzamento del livello del mare peggiorano via via con ogni nuovo rapporto:

dal 2007, quando l’innalzamento previsto nel loro scenario intermedio di riscaldamento globale era di 18 a 59 cm entro il 2100; di 28 a 61 cm nel rapporto 2013 (su cui si sono basati i ricercatori di Kiel), fino a quello più recente, del 2021, cresciuto da 44 a ben 76 cm.

Sono passati quattro anni, ma ancora nessun partito politico italiano accenna a questo tema cruciale (e faccio notare che siamo «Il Giornale dell’Arte» e dunque ci limitiamo a parlare di siti d’arte, ma l’innalzamento del mare comporterà conseguenze disastrose anche per gli abitanti e l’economia delle parti più a rischio della nostra costa lunga 7mila km).

Perciò, in occasione del COP27, (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in corso dal 6 al 18 novembre in Egitto, a Sharm el Sheik) riproponiamo oggi l’articolo che avevamo scritto nel 2018, aggiornando le informazioni su quanto nel frattempo è stato fatto oppure non fatto per proteggere i quattro siti italiani più famosi e a maggior rischio: Venezia, Ravenna, Aquileia, e Ferrara.

Quanti italiani sanno che, dopo l’ultimo rapporto dell’Ipcc di un anno fa, gli olandesi hanno elevato da 100 a 120 cm la previsione del livello del mare da cui dovranno difendersi entro il 2100? Gli olandesi sì che prendono sul serio l’evidenza scientifica (ma anche tragicamente vissuta) degli effetti del cambiamento climatico: in Italia gli scienziati vengono ignorati dai politici e dai media come se fossimo un Paese di trumpisti, cioè di negazionisti.

Sappiamo tutti, naturalmente, che i Paesi Bassi sono un caso estremo di vulnerabilità dal punto di vista del rapporto con il mare, ma anche per noi è ora di riconoscere che siamo vulnerabili: la Bella Italia con i suoi siti di fama mondiale, la celebrata bellezza delle sue coste.

La vera differenza tra l’Italia e i Paesi Bassi è che questi hanno un ente nazionale potentissimo, il Delta Programme, che risponde al Ministero delle infrastrutture e al Parlamento, con finanziamenti a lungo termine e una salutare e totale collaborazione tra privato e pubblico. Gli olandesi, avendo prefigurato quattro scenari di crescente gravità, sanno che cosa faranno fino alla fine di questo secolo per proteggere il loro Paese: nessun investimento importante, né privato né pubblico, viene effettuato senza aver tenuto conto dei vari scenari d’innalzamento tra oggi e il 2100.

In Italia, invece, nessun governo, nessun Ministero ha assunto la responsabilità per una pianificazione nazionale. La regione Friuli Venezia Giulia sta lavorando in maniera ottima per conto suo e in un modo che potrebbe essere estesa oltre i suoi confini, ma Roma sembra inconsapevole di ciò. Prima del COP26 nel 2021, l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, di cui sono membro, aveva scritto a Mario Draghi, allora Presidente del Consiglio, delineando il problema, con particolare riferimento a Venezia.

Vi era scritto: «È necessaria una nuova mentalità insieme a una nuova struttura di gestione, che tengano conto di tutti gli interessi conflittuali, di un modello di sviluppo sociale ed economico della città ampiamente condiviso, di un futuro accettabile per l’ecosistema in pericolo, e decidano quale dovrebbe avere la priorità. La strategia ha bisogno di pianificare il futuro con molti decenni di anticipo ma deve dimostrarsi flessibile nei modelli che propone».
Poi, come così spesso succede, il Governo è caduto.

Se oggi Matteo Salvini, anziché rendere ancor più complicato e penoso il problema degli immigrati, volesse garantirsi una vera e duratura fama farebbe bene a ricordarsi che il ministro delle infrastrutture è lui e che può essere lui a creare questa nuova e indispensabile struttura di gestione. Per accelerare e garantire la qualità del lavoro, potrebbe invitare gli olandesi per il loro know-how tecnico e organizzativo, ma anche per rassicurare la UE, eventuale fonte di finanziamenti speciali, sulla bontà di questo grande progetto, senza la corruzione e i ritardi e le ottuse finalità elettoralistiche che hanno viziato tanti nostri grandi progetti nel passato. «Cometh the hour, cometh the man», dicono gli inglesi: «Al momento giusto arriva l’uomo del destino». È possibile che quell’uomo possa essere Salvini?
 

La mappa con le zone a rischio nel Mediterraneo pubblicata da «Nature» nel 2018. Già allora si trattava di una situazione di emergenza, ad oggi è peggiorata senza nessuna misura concreta

Anna Somers Cocks, 15 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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