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Maria Maddalena d’Austria con il «Diamante Fiorentino» in un ritratto del pittore di corte Orazio Fidani, oggi di proprietà del Museo de’ Medici di Firenze.

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Maria Maddalena d’Austria con il «Diamante Fiorentino» in un ritratto del pittore di corte Orazio Fidani, oggi di proprietà del Museo de’ Medici di Firenze.

Scomparso nel 1918, il «Diamante Fiorentino» era in un caveau canadese

Il «New York Times» ha svelato il mistero della «gioia più bella d'Europa», il celebre diamante giallo indiano, tagliato a Venezia, che Cosimo II acquistò per farne dono alla moglie Maria Maddalena d'Austria. La gemma medicea era passata nel tesoro degli Asburgo e svanita dopo il crollo dell’impero austro-ungarico 

Elena Franzoia

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Il Diamante Fiorentino si trova, intatto, nel caveau di una banca canadese. Lo ha rivelato il «New York Times», concludendo con un colpo di teatro il lungo giallo che ha visto protagonista la straordinaria gemma medicea, finita nel tesoro degli Asburgo e da lì misteriosamente scomparsa con il crollo dell’impero austro-ungarico nel 1918. 

Si era pensato di tutto: che fosse andato perso, rubato o ritagliato fino a renderne irriconoscibile l’eccezionale splendore, che lo fece definire dal Cardinal del Monte, celebre collezionista e mecenate del giovane Caravaggio, «la più stupenda cosa che ci sia in Europa». Certo, tutto si era pensato tranne che la grande goccia dai riflessi verde-oro fosse sopravvissuta integra nello sfolgorare dei suoi oltre 137 carati per 27 grammi di peso, valorizzati dalle 126 faccette con cui nel 1615 la pietra venne intagliata dall’abile artigiano veneziano Pompeo Studentoli. Il granduca Cosimo II gli affidò infatti la pietra grezza allo scopo di farne dono alla moglie Maria Maddalena d’Austria che, come testimoniano i molti ritratti ufficiali dipinti da Giusto Sustermans e altri, lo portava tra i capelli sul diadema, montato con uno spillone. 

Difficile ricostruire la storia della gemma precedente all’acquisto mediceo, che un documento oggi all’Archivio di Stato di Firenze data al 1601. Una leggenda vuole infatti fosse appartenuta al duca di Borgogna Carlo il Temerario, che l’avrebbe persa in battaglia nel 1476. Da qui sarebbe finita nella mani del bernese Bartholomeus Mayus, che l’avrebbe venduta a dei mercanti genovesi da cui l’avrebbero acquistata, nell’ordine, Ludovico il Moro e papa Giulio II, per essere infine acquisita dai Medici. 

Più probabilmente, la preziosissima pietra venne venduta da un re indiano al governatore portoghese di Goa, Ludovico Castro, la cui famiglia dopo lunghe trattative consentì all’acquisto da parte di Ferdinando I de’ Medici per ben 35mila scudi portoghesi. Con l’estinzione dei Medici, nel 1737, il Fiorentino divenne proprietà di Casa Asburgo-Lorena, andando ad arricchire la corona di Francesco Stefano, marito di Maria Teresa d’Austria, durante l’incoronazione a Imperatore del Sacro Romano Impero nel 1745. Da qui, un salto temporale porta alla fine della Prima guerra mondiale. Presagendo la fine del suo impero, Carlo I nel 1918 fece infatti trasportare in Svizzera i gioielli di famiglia, che poi migrarono in Canada seguendo le sorti dei discendenti imperiali. 

Il fatto per certi versi straordinario è che gli Asburgo-Lorena ne conoscevano perfettamente l’esistenza, come ha raccontato in un’intervista Karl von Habsburg-Lothringen, nipote di Carlo I, ma erano vincolati a rispettare un importante segreto. Zita, l’ultima imperatrice d’Austria, aveva infatti fatto promettere ai figli di tacere le sorti dei gioielli per almeno 100 anni dopo la morte del marito, avvenuta nel 1922. L’originalità del tesoro, di cui il Fiorentino rimane il gioiello più prezioso, è stata accertata dal gioielliere della corte imperiale austriaca Christoph Köchert. Immediate le reazioni internazionali. 

Dopo l’articolo del Nyt, il vicecancelliere e ministro della cultura austriaco Andreas Babler ha chiesto una «revisione immediata» per determinare se il gioiello sia di proprietà del governo austriaco, in modo da ottenere una eventuale restituzione. A Firenze ci si chiede se sia possibile appellarsi al celebre Patto di Famiglia, voluto nel 1737 dall’ultima granduchessa medicea, Anna Maria Luisa, allo scopo di vincolare le collezioni medicee allo Stato toscano, e non più alla famiglia dominante. 

Interpellato da Edoardo Semmola per il quotidiano «La Nazione», il direttore regionale dei musei nazionali della Toscana Stefano Casciu, grande esperto del Patto di Famiglia, ha precisato: «Rivendicare il Fiorentino sarà molto difficile. Nel 1923 il Patto fu fatto valere, in uno scambio con Vienna che vide il ritorno delle “galanterie” di Anna Maria Luisa de’ Medici oggi esposte al Tesoro dei Granduchi di Palazzo Pitti. Ma il punto è se un atto risalente all’ancien régime, precedente allo Stato italiano, possa oggi essere vincolante, se gli Asburgo lo ritengono una proprietà privata». 

Il pallino passa ora al governo italiano.

Elena Franzoia, 07 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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