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Daniela Ventrelli
Leggi i suoi articoliIl tempio dell’archeologia barese sorge in un luogo dalla storia millenaria, nel Monastero benedettino di Santa Scolastica, protetto da un imponente circuito murario rafforzato in epoca aragonese e un tempo lambito dal mare, accanto all’area archeologica di San Pietro con cui forma un complesso di straordinaria storia urbana antica e contemporanea. Ne parliamo con Roberta Giuliani, responsabile del Museo Archeologico della Città Metropolitana di Bari.
Santa Scolastica e il suo antico complesso monumentale. Che cosa rappresenta per la città e quando è diventato sede del museo?
Il Museo Archeologico di Bari ha una storia un po’ complessa, ma assai affascinante come tutti i musei provinciali ottocenteschi. Nasce nel 1875 con un piccolo nucleo di reperti raccolti da amatori e studiosi pugliesi e nel 1900 si installa nel Palazzo dell’Ateneo, a Bari, sede dell’Università degli Studi. Rimane lì fino al 2021 quando l’ex Provincia di Bari, attuale Città Metropolitana, attiva un comodato d’uso reciproco con l’Università cedendo le sale del rettorato di proprietà della Provincia in cambio del complesso monumentale di Santa Scolastica, di proprietà dell’Università, per riaprire il Museo Archeologico chiuso al pubblico dal 1994 a causa di lavori di adeguamento previsti dalla legge Ronchey. Il complesso (e faticoso) scambio di accordi fra Provincia e Università finì, fortunatamente, per giovare al museo perché Santa Scolastica è un sito fra i più importanti della città. La sua stratigrafia documenta, infatti, una storia antichissima, con evidenze che partono dall’Età del Bronzo e giungono fini ai nostri giorni. Diventa sede del Museo nel 2001, con la riapertura al pubblico di un primo nucleo nel 2014, congiuntamente al Parco Archeologico di San Pietro e all’area del Bastione aragonese.
In che modo, oggi, il museo racconta Bari e il suo territorio?
Attraverso un percorso espositivo finalizzato alla scoperta delle origini della città e alla storia dei siti insistenti nell’area di Santa Scolastica, restituiti ai visitatori dalla ricostruzione multimediale e immersiva all’interno del bastione aragonese, porta «di mare» del Museo. Attualmente sono visitabili due parti dell’imponente struttura, di cui non manca la narrazione storica sulla vita e le opere delle colte monache che lo hanno ben amministrato e vissuto. Al piano terra trovano posto le sezioni dedicate agli Iapigi e ai Greci nella Puglia antica, con la storica Collezione Polese che vanta magnifici bronzi, terrecotte, oreficerie e ceramiche figurate magnogreche, e quella più grande sull’archeologia di Bari, dall’Età del Bronzo all’Alto Medioevo, con un importante approfondimento epigrafico. Il primo piano, invece, racconta la Preistoria e la Protostoria in Terra di Bari e si chiude con un’ampia sezione dedicata ai Peucezi, ai riti legati alla vita e alla morte di queste antiche genti di Puglia attraverso alcuni dei corredi più ricchi rinvenuti nel territorio, tra armi, arredi metallici per il simposio, oro e ambra per originali ornamenti femminili. Il Museo, però, non finisce qui. Sono in corso i lavori per l’apertura del secondo piano, dei cortili esterni e delle terrazze, delle parti interrate che saranno dedicate ad aree didattiche e al Lapidarium, con la caffetteria al piano soppalcato. L’intervento, affidato alla Drmn del MiC, costituisce l’ultimo lotto per il completamento delle opere previste per il funzionamento a regime del Museo, che speriamo si realizzi al più presto.
Quali sono i pezzi forti, i gioielli del suo museo?
Consiglierei di vedere i contesti funerari esposti al primo piano, rappresentativi della più ricca produzione peucezia e provenienti da quel territorio che fin dall’Ottocento è stato protagonista di rinvenimenti e acquisti per la formazione del nucleo costitutivo di Santa Scolastica, che nasce per vocazione come Museo della Terra di Bari. In particolare, i corredi provenienti da Ceglie del Campo, Noicattaro e Rutigliano, tra cui spiccano la coppia di dischi ornamentali, decorati in filigrana e granulazione con serpenti e svastiche meandriformi e il pendaglio con leprotto in corsa, entrambi in oro e ritrovati a Noicattaro; le ceramiche attiche e indigene delle tombe 2 e 8 da Ceglie del Campo, rappresentative del rituale simposiale di ispirazione (ed emulazione) greca; o ancora l’imperdibile Apollo di Ceglie, piccolo bronzetto decorativo risalente al V secolo a.C., simbolo storico del Museo.
Bari, negli ultimi anni, ha visto un notevole incremento del numero dei turisti che la frequentano. Il Museo rileva queste presenze?
Assolutamente sì. Il trend è sensibilmente in crescita. In 40 giorni, fra luglio e agosto 2025, abbiamo registrato 5.500 presenze, mentre nello stesso periodo dell’anno precedente il numero si attestava a 2.300. Sicuramente è una cifra destinata a salire.
Come definirebbe il legame fra il Museo e l’adiacente area di San Pietro, su cui sta sorgendo l’opera monumentale di Edoardo Tresoldi?
L’opera di Tresoldi è intimamente integrata al Parco Archeologico di San Pietro, di cui ne rappresenta una buona parte di vita (circa dieci secoli), che a sua volta è adiacente al nostro Museo. Sarà un percorso interconnesso proprio come era al principio: San Pietro e Santa Scolastica faranno parte di un unico percorso integrato, anche perché il Parco di San Pietro è di proprietà dell’Ente Provincia di Bari, che dal 2001 gestisce in forma diretta il Museo stesso.
Che cosa auspicherebbe, nel concreto, per il futuro del Museo, per una sua conoscenza più ampia?
Mi piacerebbe che ci fossero più mostre temporanee attraverso le quali valorizzare con maggiore impatto visivo il patrimonio immenso del Museo che, nella sua fitta e complessa articolazione interna, non consente di esporre tutti i reperti custoditi (circa 30mila). E, se pure al secondo piano, ci sarà un’ampia area espositiva, dedicata alla glittica e ai rapporti trasmarini nel Mediterraneo, gli spazi non consentiranno affatto di esporre tutto il patrimonio presente. Punterei, quindi, sulle mostre temporanee per uscire dal percorso ordinario e attrarre sempre più visitatori, cittadini stabili o di passaggio di quella che ormai è una grande città del Sud Italia.
Bronzetto di Apollo da Ceglie del Campo, I metà del V secolo a.C.
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