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Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliQuando nel marzo 2020 negli Stati Uniti iniziavano a emergere i primi allarmanti casi di Coronavirus e il governatore dello Stato di New York dichiarava lo stato di emergenza, teatri e musei furono tra i primi a reagire: il Metropolitan Museum of Art chiuse le porte, le luci di Broadway si spensero e tutti gli altri seguirono. A distanza di due anni, uno studio pubblicato a marzo dal National Endowment for the Arts (Nea) e dal Bureau of Economic Analysis degli Stati Uniti quantifica l’impatto della pandemia sul settore culturale, analizzando il contributo di 35 industrie, sia commerciali sia non profit, al prodotto interno lordo nel 2020.
Dai dati emerge che l’economia culturale americana ha risentito della pandemia più di altri settori, eppure le arti continuano ad avere un ruolo di primo piano. Nel 2020 l’economia della cultura si è ridotta del 6,4% contro il 3,4% dell’economia complessiva. Quasi il doppio, quindi. Sono le arti performative ad aver subito le maggiori perdite. Lo studio offre un dato che parla per tutto il settore: il valore aggiunto al Pil dai presentatori delle arti dello spettacolo, inclusi i festival, è diminuito quasi del 73% tra il 2019 e il 2020. Un po’ meglio è andata ai musei, che hanno aggiunto al Pil un 22% in meno, e all’industria cinematografica, con un 17,9% in meno.
Altro dato significativo è quello dell’impiego. Oltre mezzo milione di posti di lavoro sono stati persi nell’industria culturale nel 2020. Nell’industria cinematografica e nelle arti performative, l’occupazione è diminuita complessivamente del 40%, con la prima ad aver subito le perdite più pesanti: 136mila. Va detto che queste cifre non tengono conto dei lavoratori autonomi che, tuttavia, rappresentano un’ampia porzione della forza lavoro in questo ambito: secondo uno studio condotto nel 2019 dallo stesso Nea, quasi il 34% degli artisti negli Stati Uniti lavora in proprio, contro il 9% tra la popolazione complessiva.
Segnali positivi vengono tuttavia da settori della cultura che nel periodo pandemico hanno conosciuto invece una crescita: lo studio evidenzia infatti come l’editoria online e lo streaming abbiano registrato un boom, aggiungendo all’economia un valore del 14,3% superiore rispetto all’anno precedente, con una crescita dell’occupazione pari a 12mila unità.
«Nonostante le arti, l’industria culturale e i loro lavoratori a livello nazionale abbiano subìto pesanti perdite, il settore continua a giocare un ruolo di primo piano nell’economia americana, come dimostrano i dati», ha commentato Maria Rosario Jackson, presidente del National Endowment for the Arts, aggiungendo che la sua agenzia si impegnerà per supportare la ripresa del settore, riconoscendone l’importanza non solo economica ma per la qualità della vita dei cittadini.
La situazione resta però difficile e, secondo i dati raccolti per la ricerca, siamo ancora lontani dai livelli prepandemici.
Infatti, se nel 2021 la disoccupazione nel settore è scesa al 7,2% dal 10,3% del 2020, per tornare al 3,7% del 2019 ci potrebbero volere ancora degli anni. Lo stesso vale per i profitti. Le compagnie di arti performative, per esempio, nel terzo quadrimestre del 2021 hanno raddoppiato i profitti rispetto allo stesso periodo del 2020, raggiungendo un miliardo e 7 milioni; cifra che resta però ben al di sotto dei 12,7 miliardi dello stesso quadrimestre del 2019.

Visitatori alla National Gallery of Art di Washington, DC. Foto Phil Roeder
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