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Nan Goldin, Young Love, 2024. Courtesy of the artist / Gagosian

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Nan Goldin, Young Love, 2024. Courtesy of the artist / Gagosian

Piaccia o meno, Les Rencontres d’Arles restano un appuntamento da non perdere

Fino al 5 ottobre, Arles ospita la 56esima edizione del Festival della Fotografia, Les Rencontres d’Arles, sicuramente il festival di fotografia più importante in Europa.

Chiara Massimello

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L’edizione dello scorso anno ha registrato 160.000 visitatori, il 60% in più di dieci anni prima, più del doppio di quelli di Fotografia Europea a Reggio Emilia. In 10 anni sono cambiate tante cose, così come altrove, nell’arte e nel mondo. Qualcuno accusa Arles di aver perso la propria anima da quando è stata aperta la Luma Foundation nell’imponente edificio progettato dal grande architetto Frank Gehry, nel 2021. Qualcuno poi sostiene che, da allora, il mondo della finanza e dell’industria sia entrato prepotentemente in quello della fotografia e che Arles abbia perso la sua capacità di essere laboratorio di ricerca. 

Tuttavia, credo sia necessario distinguere, come in molti degli eventi importanti che si possono visitare oggi nel mondo, tra la settimana di apertura e l’intero progetto del festival. Arles, come Art Basel, Frieze e Paris Photo ha un’apertura mondana, in cui, oltre a curatori, fotografi e addetti ai lavori, si possono incontrare sponsor, collezionisti e, come dice Sigmar Polke nella bellissima mostra « Sotto i sanpietrini la terra » (aperta fino al 20 ottobre alla Fondazione Van Gogh di Arles), persone che « hanno un buco nella testa che vogliono riempire con l’arte ». Tuttavia, spente le luci della prima settimana e abbassato il sipario, resta di fatto un evento eccezionale che coinvolge una città intera e attira centinaia di migliaia di veri appassionati di fotografia.

Vero è che l’edizione è di quest’anno non è particolarmente incisiva e pare, visitando le 46 mostre allestite, che i curatori e gli artisti siano più concentrati sulle origini e le ingiustizie del passato che sugli orrori del presente, senza vedere i drammi e le atrocità che ci circondano e la svolta politica che mette in discussione il concetto storico di democrazia. Non si può pensare che siano Anna Fox et Karen Knorr (in mostra con Berenice Abbott) ad alzare la bandiera della protesta, o lasciare a Letizia Battaglia la forza della denuncia. E poi, ci basta veramente vivere nel passato in bianco e nero di Louis Stettern o in quello (seppur interessante) di Carmen Winant e Carol Newhouse? Dobbiamo cercare ispirazione nell’elogio della fotografia anonima della collezione di Marion e Philip Jacquier?

Ma il bello di Arles é che quando sorge il dubbio che le cose siano cambiate e sia finita un’epoca di vera fotografia, ecco che un progetto drammatico e poetico si affaccia a dare spunto di riflessione: la mostra « Père » di Diana Markosian al Monoprix é la dimostrazione che l’arte non è solo immagine, ma provocazione e contenuto, così come il progetto alla Fondazione Manuel Rivera-Ortiz che ci ricorda che é ancora tempo di caccia alle streghe. Se poi si cerca l’estetica e l’eleganza, impeccabile la mostra Yves Saint Laurent e la Photographie curata da Simon Baker in collaborazione con Elsa Janssen, così come la riflessione sulla Sindrome di Stendhal di Nan Goldin realizzata con il sostegno di Kering - Women in Motion.

Le cose cambiano e Arles con loro, non possiamo pensare che restino uguali. Lecito é auspicare una maggior consapevolezza del presente e della responsabilità delle immagini e aggiungerei uno sguardo più attento a quello a cui stanno lavorando le nuove generazioni.

Chiara Massimello, 17 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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