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Angelica Kaufmann
Leggi i suoi articoliOrnella Vanoni è morta per un malore improvviso nella sua casa a Milano a 91 anni. Figura leggendaria della cultura italiana, non è stata solo una delle voci più riconoscibili della nostra canzone, è stata un modo di attraversare la cultura, una figura capace di muoversi con sorprendente naturalezza tra musica, teatro, cinema, arte visiva e televisione. Ripercorrere i brani e i momenti più emblematici della sua carriera significa ripercorrere mezzo secolo di immaginario italiano, dal dopoguerra alla contemporaneità digitale.
La stagione del Piccolo Teatro: l’artista prima della cantante
Prima ancora dell’esordio discografico, Vanoni era nata come interprete drammatica sotto la guida di Giorgio Strehler, un imprinting che ha definito la sua futura carriera musicale più di quanto spesso si ricordi. Quel rigore, quel minimalismo espressivo, quella capacità di “dire” più che cantare: sono tutti tratti che derivano dall’esperienza teatrale. Le sue prime performance come “cantante della mala”, costruite da Strehler con artigianalità quasi scenografica, erano piccole pièces: narrazioni in musica, interpretazione pura. Un rapporto con il teatro che Vanoni non ha mai davvero reciso, riaffiorato nell’attenzione ai testi, nella cura delle pause, nei silenzi carichi di senso.
I brani che hanno segnato un’epoca
“Senza fine” (1961)
Scritta da Gino Paoli, è la canzone che ha definito l’idea stessa di eleganza vocale italiana. La resa di Vanoni, sospesa, quasi trattenuta, ha trasformato il brano in un archetipo dell’amore malinconico.
“L'appuntamento” (1970)
Forse il brano più identificato con la sua voce. È la Vanoni cosmopolita, influenzata dalla musica brasiliana, capace di portare nella canzone italiana un colore sensuale e urbano. Col tempo, è diventato un classico trasversale, ricomparso in film, spot, playlist, remix.
“Una ragione di più” (1969)
Una delle sue interpretazioni più mature: dolore e orgoglio si tengono in equilibrio perfetto. È la quintessenza della Vanoni intima, quella che trasforma la sofferenza in una forma di eleganza.
“Domani è un altro giorno” (1970)
Una canzone-soglia: il passaggio dalla giovane interprete alla donna pienamente consapevole del proprio stile. La vocalità è più profonda, più scura, più definita.
I duetti, dalle collaborazioni storiche ai ritorni contemporanei: con Gino Paoli, un sodalizio diventato mito; con Toquinho e Vinicius de Moraes, che hanno consolidato il suo legame con la cultura brasiliana; con Ornella & Friends negli anni 2000 e 2010 (da Ron a Jovanotti), a testimoniare una sorprendente capacità di dialogare con generazioni più giovani.
I momenti iconici: una figura culturale prima che musicale
Negli anni ’60 e ’70 Vanoni ha saputo incarnare una figura femminile rara: sofisticata ma non distante, emancipata senza rivendicarlo, consapevole del proprio fascino ma lontana da pose da diva. Il suo stile si è imposto nell’immaginario come un marchio unico. Vanoni appartiene a quella generazione di artisti che ha instaurato un rapporto complesso e creativo con la TV. Le sue apparizioni, spesso ironiche e giocose, sono entrate nel repertorio iconico nazionale: i duetti con Paoli e Tenco, le interviste spiazzanti, le improvvise confessioni a metà tra performance e verità.
Gli anni della “nuova popolarità”
Negli ultimi anni è diventata una figura cult tra i più giovani grazie alla sua presenza sui social, dove ha mostrato una forma unica di autoironia e lucidità. Non gridava, non ostentava, non recitava: diceva. E quel dire, così poco comune nella cultura spettacolare contemporanea, è diventato un valore.
Il design e la scultura come linguaggio quotidiano
Nella sua casa milanese, spesso raccontata sui giornali, la presenza di oggetti d’arte, sculture, ceramiche, pezzi di design italiano formava un vero e proprio autoritratto culturale. Non collezionava in maniera sistematica: sceglieva ciò che le somigliava.
Lo sguardo pittorico sulla musica
Molti registi e fotografi che l’hanno ritratta hanno sottolineato la sua “pittoricità”: la capacità di stare ferma, di occupare lo spazio come un soggetto da quadro. Lavorare con lei significava confrontarsi con una persona dall’assoluto controllo della propria immagine scenica.
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