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Salman Toor, ritratto di Zohran Mamdani, 2007. © Salman Toor. Per gentile concessione dell'artista, Luhring Augustine, New York, e Thomas Dane Gallery

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Salman Toor, ritratto di Zohran Mamdani, 2007. © Salman Toor. Per gentile concessione dell'artista, Luhring Augustine, New York, e Thomas Dane Gallery

Chi è Salman Toor, il pittore che ha ritratto il nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani

Completato quando Mamdani era adolescente, il ritratto dell'artista pakistano-americano Salman Toor, cattura il nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani con i capelli arruffati e l'espressione dolce

Angelica Kaufmann

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Completato quando Mamdani era adolescente, il ritratto dell'artista pakistano-americano Salman Toor (Lahore, Pakistan, 1983), cattura il nuovo sindaco di New York Zohran Mamdani con i capelli arruffati e l'espressione dolce, reso con toni caldi e terrosi. Spiega Toor: «era il 2007. Il ritratto era uno studio, uno schizzo di intenzioni. Doveva portare a qualcosa di più grande: un ritratto di famiglia per la mia amica, la regista Mira Nair, la madre di Zohran». Ma chi è Salman Toor? Il pittore è oggi una delle voci più significative della pittura contemporanea. La sua opera attraversa i confini della geografia e del genere, unendo introspezione e critica sociale, delicatezza e forza. Nel suo universo di camere illuminate e corpi sospesi, l’arte torna a raccontare ciò che la cronaca dimentica: la bellezza fragile di sentirsi umani. In un mondo dell’arte dominato dall’iper-immagine e dalle urgenze politiche, l'artista ha scelto una strada apparentemente disarmata: la pittura figurativa, lenta, emotiva, piena di dettagli minuti e luci soffuse. Eppure, sotto la superficie di salotti bohémien, feste domestiche e schermate di telefono, si cela una riflessione radicale sull’identità, la migrazione e la vulnerabilità queer nel mondo contemporaneo. Cresciuto a Lahore, nel cuore culturale del Pakistan, Toor ha studiato al Ohio Wesleyan University e successivamente al Pratt Institute di Brooklyn, dove si è stabilito definitivamente. È parte di una generazione di artisti che si muovono tra mondi e codici culturali diversi — il retaggio coloniale e la globalizzazione, la pittura europea e la cultura digitale, la memoria islamica e la libertà metropolitana.

La sua carriera è decollata dopo la personale How Will I Know al Whitney Museum of American Art (2020-21), mostra che ha consacrato Toor come una delle voci più autentiche e poetiche della nuova figurazione internazionale. Da allora, le sue opere sono entrate in importanti collezioni pubbliche, tra cui il Museum of Modern Art (MoMA), la Tate, e il Hirshhorn Museum di Washington D.C. Nei suoi dipinti, Toor costruisce microcosmi sospesi tra il reale e l’immaginario. Giovani uomini bruni — spesso proiezioni autobiografiche — popolano interni borghesi, bar, aeroporti, stanze condivise, luoghi di passaggio tra due identità. La luce verdastra o violacea, quasi teatrale, trasforma l’ambiente quotidiano in un palcoscenico fragile dove convivono malinconia, desiderio e appartenenza. C’è una dimensione cinematografica nel suo modo di raccontare: figure colte in gesti minimi, una sigaretta, un abbraccio, un messaggio sullo schermo del telefono. Tutto parla di intimità e di sradicamento. Come scrive l’artista, «mi interessa il momento in cui la libertà diventa fragile, privata, domestica — un lusso vissuto in un appartamento, in una notte di festa, o in un abbraccio tra amici». La pittura di Toor rielabora con libertà la tradizione occidentale: da Fragonard a Édouard Vuillard, da Caravaggio a Kerry James Marshall, la storia dell’arte diventa un linguaggio da reinventare attraverso uno sguardo postcoloniale. Nei suoi quadri, l’iconografia classica si mescola al vissuto queer e diasporico: il giovane orientale non è più il soggetto “esotico” dell’immaginario coloniale, ma il protagonista del racconto, padrone del proprio spazio e della propria vulnerabilità.

Un altro tratto distintivo della sua poetica è la convivenza tra intimità e tecnologia. Smartphone, laptop, luci artificiali e finestre di chat compaiono nei suoi dipinti come simboli di una nuova forma di solitudine urbana. Toor non giudica né celebra: osserva, con una tenerezza malinconica, come la comunicazione digitale ridisegni i confini del corpo e dell’identità. In un tempo di polarizzazioni e urgenze ideologiche, Salman Toor ha scelto la via della dolcezza come atto politico. La sua pittura, apparentemente fragile, è un manifesto per un nuovo umanesimo queer, dove la bellezza quotidiana e la vulnerabilità diventano strumenti di resistenza. Ogni suo quadro è un piccolo teatro di empatia, dove l’arte torna a essere, come diceva lui stesso, «un luogo in cui i corpi e le memorie possono riposare insieme, senza paura».

Salman Toor, ritratto di Zohran Mamdani, 2007. © Salman Toor. Per gentile concessione dell'artista, Luhring Augustine, New York, e Thomas Dane Gallery

Angelica Kaufmann, 07 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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