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Adam Linder, «Rub up on Madre», performance al Museo Madre, Napoli

Photo: Amedeo Benestante

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Adam Linder, «Rub up on Madre», performance al Museo Madre, Napoli

Photo: Amedeo Benestante

Napoli, il Madre e il laboratorio Campania. Intervista a Angela Tecce

Dalla scena artistica partenopea alle collaborazioni con fondazioni, istituzioni e comunità del territorio, c’è un sistema in trasformazione dove accanto alle fragilità ci sono nuove energie contemporanee, prospettive di crescita e traiettorie di sviluppo 

Olga Scotto di Vettimo

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Storica dell’arte, curatrice, funzionaria e poi dirigente del MiC, lungamente impegnata nelle politiche culturali di valorizzazione del patrimonio pubblico, Angela Tecce è dal 2021 presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, l’istituzione della Regione Campania che gestisce il museo Madre. «Amica degli artisti», come nel tempo ha più volte precisato volendo rimarcare il suo vivo interesse per le storie di arte e di vita che scandiscono la ricerca e i linguaggi dell’arte, Angela Tecce è tra le più autorevoli testimoni e incisive protagoniste delle vicende dell’arte a Napoli, osservatorio poroso ai linguaggi e ai temi della contemporaneità, capace di far convivere presente e memoria, scena locale e prospettiva internazionale.

Insediandosi alla presidenza della Fondazione Donnaregina, quali indirizzi ha perseguito?
Per me, che ho sempre lavorato nel campo dell’arte contemporanea, prima come funzionaria e direttrice dei musei della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici della Campania, poi divenuta Polo Museale, e successivamente come dirigente della Direzione Generale per l’Arte e l’Architettura Contemporanee al Ministero, la presidenza della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee è stato un onore che ho accettato con grande orgoglio. Essere presidente di questa Fondazione, da cui dipende il museo Madre, mi è sembrato il giusto coronamento della mia carriera, soprattutto perché rappresenta l’unica istituzione meridionale dedicata all’arte contemporanea che si rivolge non solo alla Campania ma anche al resto del nostro Paese. L’obiettivo principale che mi sono posta è stato proprio quello di lavorare alla necessaria identificazione del Madre come museo. Il Madre è molto giovane: ha compiuto vent’anni soltanto pochi mesi fa. È evidente che, come tutte le realtà di recente istituzione, il suo ruolo e la sua missione abbiano bisogno di essere sempre meglio definiti. Uno dei primi compiti che mi sono prefissata, e che ho portato a termine, è stato quello di modificare lo Statuto, conferendo dignità e centralità al ruolo del direttore perché, nonostante io stessa abbia ricoperto per tutta la vita questo ruolo e quindi in qualche modo fossi portata a identificarmi con le sue funzioni, non volevo sovrapposizioni che potessero lederne l’autonomia. Altra necessità a cui ho cercato di rispondere è stata quella di fornire al museo una dotazione organica di personale stabile non dico congrua, ma almeno sufficiente, nella speranza che possa essere ancora incrementata. Non disgiunta da questi obiettivi, che definirei strutturali, è stata la creazione, con l’aiuto dell’attuale presidente Renato Magaldi e di tante altre persone, dell’Associazione Amici del Madre, che sostiene e affianca tante nostre attività.

Quale è il ruolo della Fondazione nell’ambito della cultura a Napoli e in Campania?
Oltre a presiedere al museo Madre, ha anche il compito di coordinare le attività legate all’arte contemporanea in Campania attraverso diverse linee di intervento. Un esempio è «Progetto XXI», un programma di mostre e attività condiviso con fondazioni e istituzioni del territorio campano che si occupano di arte contemporanea come la Fondazione Morra, la Fondazione Morra Greco, la Fondazione Made in Cloister, il Museo Diocesano, oltre a instaurare convenzioni e relazioni con tutte le altre importanti istituzioni territoriali, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli al Museo e Real Bosco di Capodimonte al Parco Archeologico di Pompei. Questa modalità di collaborazione è particolarmente significativa, poiché rappresenta un modo concreto di lavorare verso obiettivi strategici comuni.

Quali i propositi ancora da sviluppare nel suo secondo mandato? 
Nel secondo mandato che mi è stato affidato nel 2024 dal presidente della Regione Vincenzo De Luca, i miei propositi si sono ulteriormente orientati, concentrandosi in modo più deciso sulla programmazione del museo, in ciò coadiuvata dalla direttrice Eva Fabbris, nominata nel 2023. Con lei sono stati messi a punto programmi scientifici di grande rilevanza internazionale, come la mostra dedicata a Kazuko Miyamoto e la retrospettiva su Tomaso Binga, che ha riscosso un grandissimo successo di pubblico e critica. Oltre alle mostre realizzate, sono particolarmente fiera che il Madre si stia dotando sempre più di programmi di grande impatto sul pubblico, soprattutto quello giovanile, che ci segue con grande interesse, come è avvenuto per la rassegna video «L’ombra dell’albero». Attribuisco inoltre grande valore a tutte le attività laboratoriali che, nel progetto di Eva Fabbris, hanno assunto un ruolo sempre più centrale. Quelle che svolgiamo all’interno del nostro museo, come i laboratori dedicati a bambini, adolescenti e adulti, ciascuno con una propria fisionomia e identità, ma anche quelle realizzate in collaborazione con istituzioni cittadine, ad esempio le attività svolte con Gesac, la società che gestisce gli aeroporti di Napoli e Salerno, e con le scuole del quartiere di San Pietro a Patierno, limitrofo allo scalo aeroportuale napoletano. Dal primo triennio del mio incarico ha collaborato con me e la direzione museale il laboratorio transdisciplinare LET, che ha costituito l’ossatura e l’innesco di ricerche, mostre di studio, public program che sono andati sviluppandosi negli anni.

Quanto incide sul suo incarico la conoscenza del sistema delle arti del territorio?
Il mio forte radicamento nell’ambiente artistico partenopeo è stato al tempo stesso un’opportunità e una difficoltà. Ho sempre cercato di rispettare pienamente il mio ruolo di presidente, mantenendo la massima equanimità e lasciando lo spazio dovuto alla direttrice e alla sua programmazione artistica. In questo senso, mi sono trovata in particolare sintonia con le scelte di Eva Fabbris, che aveva già inserito, nel programma presentato al momento del concorso, l’intenzione di dedicare, oltre alle grandi esposizioni, un’attenzione specifica a ciò che è accaduto nel nostro territorio. Questa visione si è concretizzata nella mostra articolata in più capitoli «Gli anni», titolo ripreso dal romanzo di Annie Ernaux, dispositivo espositivo che ha consentito e consentirà di far luce, in maniera del tutto svincolata da criteri cronologici, su momenti fondamentali della nostra storia dell’arte recente. Un riesame questo che, seppur con una metodologia e un arco cronologico di riferimento differenti, era stato affrontato con il Museo «Novecento a Napoli» a Castel Sant’Elmo, fondato da me e da Nicola Spinosa, dove erano stati presi in esame gli episodi più avanzati dell’arte napoletana del Novecento, e che richiederebbe oggi, come tutte le realtà museali che vogliono rimanere connesse al proprio ruolo di testimonianza e studio, approfondimenti e nuove prospettive di ricerca. 

Che ruolo ha la Fondazione Donnaregina per gli artisti del territorio?
Ha sviluppato iniziative specifiche a sostegno degli artisti del territorio, tra cui il Premio Meridiana, ideato in collaborazione con gli Amici del Madre costituiti, ripeto, durante il mio primo mandato e il cui sostegno mi rende molto fiera. Il premio è curato da Mario Francesco Simeone ed è sostenuto sia dalla Fondazione sia dagli Amici, con il supporto di sponsor privati come Antony Morato e Fondazione Tridama. Questo dimostra l’interesse e l’attenzione del mondo imprenditoriale e della società civile verso il museo. Il Premio Meridiana intende valorizzare la ricerca curatoriale e la scena artistica emergente, con un focus sulla Campania e sull’Italia meridionale, favorendo il dialogo tra generazioni, contesti e linguaggi diversi. L’obiettivo è quello di dare visibilità agli artisti del nostro territorio, inserendoli in un circuito internazionale più difficile da raggiungere per chi opera al Sud rispetto agli artisti del Nord e del Centro Italia.

Che cosa si augura per il futuro della Fondazione? E per il suo?
Mi auguro che la Fondazione possa continuare a ricevere un sostegno significativo, come è avvenuto finora, dalla Regione Campania, che ha sempre attribuito grande importanza alla cultura, e in particolare alla cultura contemporanea, attraverso i vari finanziamenti di cui usufruiamo. Spero che questo supporto continui, perché è evidente che solo un forte impegno nella promozione culturale può garantire al museo la visibilità internazionale che desidero per il Madre. Per quel che riguarda il mio futuro, pur avendo il mio incarico di Presidenza aperto a prospettive diverse e stimolanti alla mia concezione del museo e dell’arte, mi auguro di poter tornare ad avere la possibilità di confrontarmi con l’arte e gli artisti in maniera frontale e diretta attraverso lo studio e la ricerca, abbandonando la visione strategica e organizzativa.

Mimmo Paladino, «Senza titolo», 2006. Photo: Amedeo Benestante

Olga Scotto di Vettimo, 17 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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