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Il Macaal (l’opera: Fatiha Zemmouri, «La pesanteur et la grâce», 2019)

© Omar Tajmouati

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Il Macaal (l’opera: Fatiha Zemmouri, «La pesanteur et la grâce», 2019)

© Omar Tajmouati

Marrakech, oasi d’arte nell’Africa mediterranea

Non solo cartolina esotica per turisti globali, la città marocchina è un laboratorio in fermento dove l’arte tenta di riappropriarsi della propria voce. Uno spazio di frontiera, dove il contemporaneo è sopravvivenza poetica in una città in piena espansione culturale

Nicola Davide Angerame

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Statista per destino e pittore per diletto, Winston Churchill si innamorò di Marrakech nel 1935 e la definì «la città più bella del mondo». La osservava spesso dal suo appartamento riservato dentro lo storico hotel La Mamounia, dalla cui terrazza era solito ritrarre le cime dell’Atlante. Oggi, Marrakech è una città doppia: da un lato, la cartolina esotica per il turista globale; dall’altro, un laboratorio in fermento dove l’arte africana, attraverso nuovi linguaggi, tenta di liberarsi dagli sguardi imposti e di riappropriarsi della propria voce. Uno spazio di frontiera, dove il contemporaneo non è moda, ma forma di sopravvivenza poetica in una città in piena espansione culturale e immobiliare, in un Paese che si considera un ponte tra l’Africa e l’Europa e che sta usando la cultura visiva in senso strategico come leva geopolitica. 

Basti pensare alla nascita del Musée Mohammed VI a Rabat e alla volontà del monarca, che si presenta come garante del rispetto dei precetti dell’Islam per evitare derive teocratiche, di trasformare l’immaginario nazionale attraverso una collezione d’arte che stimola, per emulazione, il collezionismo nazionale e alimenta un mercato in crescita. Dal 2019 Artcurial è la prima casa d’aste internazionale a operare con due vendite all’anno dedicate, rispettivamente, alla pittura orientalista e all’arte africana contemporanea.

Il «progetto Marrakech» è diventare piattaforma culturale dove convergano voci, pratiche e linguaggi da tutto il continente. Una vetrina della creatività africana aperta sul mondo e che comprende anche la moda, come dimostrano alcune presenze eccellenti, e il cinema, con il Film Festival Internazionale di Marrakech che, presieduto dal principe Moulay Rachid, dal 2001 attrae star e produzioni internazionali. 

L’ormai defunta Biennale d’arte di Marrakech, che in 12 anni di vita ha segnato una tappa importante nella storia recente della città, ha lasciato in eredità visioni, reti e pratiche. Nel 2019, il suo testimone è stato raccolto da 1-54, fiera boutique esclusivamente dedita all’arte africana nata a Londra e New York, portata nella città natale dalla sua fondatrice, Touria El Glaoui, figlia del pittore berbero Hassan, figura centrale della pittura moderna magrebina. «Cinquantaquattro Stati, un solo continente», dice lei, che ha trasformato Marrakech in meta imprescindibile per collezionisti e curatori (cfr. intervista su www.ilgiornaledellarte.com), coagulando attorno a sé un ecosistema vibrante, stratificato e cosmopolita con il centro operativo nello storico La Mamounia, che ha 102 anni e conta cinque ristoranti, quattro bar, due sale da tè, cinema e spa, oltre a centinaia di camere lussuose e giardini in cui perdersi. Ci sono passati tutti: da Bill Clinton al principe Carlo, da Jimmy Page a Paulo Coelho, più mezza Hollywood.

La modernizzazione di Marrakech affonda le radici in epoche diverse. Come quando Yves Saint Laurent, ancora giovane couturier in ascesa, acquistò nel 1966 con Pierre Bergé la celebre Villa Oasis, contribuendo al restauro degli adiacenti Jardin Majorelle, realizzati negli anni ’30 dall’omonimo pittore orientalista come opera d’arte totale, ispirata ai giardini islamici e alla botanica mondiale, con l’aggiunta del celebre blu Majorelle, da lui ideato. Oggi il giardino custodisce le ceneri dello stilista e il museo, che possiede migliaia di suoi disegni, abiti e accessori, è una meta della moda globale. Di recente anche Romeo Gigli ha aperto il suo raid nella Medina, trasformando una delle tipiche abitazioni marocchine, costruite su due piani attorno a un giardino interno, in un luogo di accoglienza molto adatto a esposizioni d’arte. 

Nell’Ottocento, Marrakech è stata crocevia tra Africa nera e mondo arabo, tra Europa bohémienne e misticismo berbero, tra colonialismo e resistenza, tra polvere e luce. Una luce che ha ammaliato Delacroix, Matisse e Canetti. Di questa storia, Dar el Bacha o Musée des Confluences è lo scrigno e il monumento, da poco restauro. Ex residenza del potente pasha Thami El Glaoui, il palazzo nella Medina è sede di un dialogo tra culture: espone oltre 2mila straordinari manufatti berberi, islamici, ebraici, cristiani, asiatici e subsahariani, provenienti da collezioni pubbliche e private, inclusa quella della Fondation nationale des musées. Oltre a ciò, ospita performance di arte contemporanea. Anche per questo, nel 2020 Marrakech è stata eletta per prima Capitale Africana della Cultura.

Jacques Majorelle, «Marocaine au foulard rouge, Marrakech» (senza data). Courtesy of Macaal and the estate of the artist

Joël Andrianomearisoa, «Our land just like a dream», 2022. Courtesy of Macaal and the artist

Oltre le possenti mura della Medina si estende l’altra faccia della città, quella fatta di boulevard moderni, hotel di lusso, resort, campi da golf e villaggi residenziali in continua espansione. In questo ambiente sorge il rinnovato Macaal, Museum of African Contemporary Art Al Maaden, fondato nel 2016 dalla Fondation Alliances della famiglia Lazraq (il fondatore colleziona fin dagli anni ’80) e riaperto a gennaio con una festa «à la grande Gatsby» dopo un’importante ristrutturazione; è diretto da Meriem Berrada (già curatrice ospite di Artissima a Torino) che ha organizzato le 150 opere scelte dalla collezione permanente in sette diversi capitoli e altrettante videopresentazioni di antropologhe, poeti e filosofe che restituiscono la complessità delle identità postcoloniali africane. È una delle istituzioni più importanti per l’arte africana contemporanea e un museo-piattaforma: pedagogico, estetico, relazionale. Spostandosi a venti minuti dal centro, immersa in un parco di ulivi centenari, la Montresso Art Foundation è un’oasi creativa con dieci grandi studi per altrettante residenze d’artista e con ampi spazi espositivi. Fondata da Jean-Louis Haguenauer, è un punto di riferimento per la scena africana: ogni anno organizza una grande mostra con maestri africani affermati e nuove promesse da tener d’occhio.

Tornando in città, nel quartiere moderno di Guéliz si concentrano molte delle gallerie d’arte contemporanea più attive e frequentate. La Loft Art Gallery, fondata nel 2009 dalle sorelle di casa reale Myriem e Yasmine Berrada Sounni, lavora da anni, anche partecipando a fiere internazionali, per valorizzare la scena dell’arte del continente e della città. Comptoir des Mines fonde «déco» e sperimentazione: residenze d’artista, installazioni, narrazioni visive che indagano il corpo, la memoria, le fratture del presente. Poco distante, la David Bloch Gallery espone lavori sospesi tra calligrafia urbana, astrazione e poesia concettuale. Ancora più in là, Galerie 127, la prima galleria fotografica del Maghreb, racconta i volti mutevoli del Paese, muovendosi tra sguardi interiori e alterità. Nella Medina, invece, Dar Bellarj oltre a essere un santuario della cultura artigianale popolare e del patrimonio orale, ha organizzato i suoi «Ateliers Collectifs» dove l’arte diventa gesto sociale, trasmissione di saperi femminili. A pochi passi, Le 18 ospita artisti in residenza e mette in scena conversazioni che attraversano i linguaggi: poesia sonora, videoarte, installazioni partecipative. 

Non mancano hotel lussuosi con aree espositive dedicate agli artisti marocchini, come il Mandarin alle porte della città o El Fenn nel pieno della Medina e vero unicum nel suo genere, con 21 riad collegati e arredati con artigianato di altissima gamma. È stato fondato nel 2002 da Howell James (Christie’s) e da Vanessa Branson, collezionista d’arte, gallerista e mecenate, e reinterpreta la cultura dell’accoglienza che in Marocco è tradizione e ritualità.

A Marrakech non mancano gallerie in spazi ex industriali come Mmc Gallery, fondata da Fatima-Zohra Bennani Bennis nel 2016 nell’area di Sidi Ghanem. È una delle principali gallerie d’arte contemporanea di Marrakech e rappresenta artisti e designer che giungono in questi 600 metri quadrati per progetti museali prodotti in loco, come quello recente di Amine El Gotaibi.

Diversi artisti hanno scelto Marrakech per vivere e lavorare. Amina Agueznay, che fonde architettura, scultura e antropologia in una pratica relazionale e profondamente femminile. Qui c’è anche M’barek Bouhchichi, ritrattista tra i più originali del Nord Africa (in Italia rappresentato dalla Galleria Valentina Bonomo). Hassan Hajjaj, soprannominato «l’Andy Warhol della fotografia marocchina», vive tra Londra e Marrakech e ha immortalato Billie Eilish per la copertina di «Vogue», ritraendola in ambienti multicolori e negli abiti tipici del suo stile eclettico e popolare. Daoud Aoulad-Syad, fotografo, regista e intellettuale, ha dedicato un importante lungometraggio a Pasolini. I suoi scatti restituiscono i volti dell’anima marocchina, mentre quelli di Lalla Essaydi, nata a Marrakech nel 1956 ma espatriata a New York, ritraggono le donne arabe e interrogano i modi in cui potere e genere si imprimono sui corpi femminili e sugli spazi che esse abitano.

Giardini del Macaal, con vista sulle cime innevate dell’Atlante (l’opera dello scultore francese Philippe Hiquily, «Girouettes», 2011)

Nicola Davide Angerame, 19 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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