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Lee Miller, «Maschere antincendio. Downshire Hill, Londra, Inghilterra, 1941»

© Lee Miller Archives, England 2025. All rights reserved. leemiller.co.uk

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Lee Miller, «Maschere antincendio. Downshire Hill, Londra, Inghilterra, 1941»

© Lee Miller Archives, England 2025. All rights reserved. leemiller.co.uk

Lee Miller a Torino: dalle visioni oniriche alla fotografia come esercizio di verità

Centosessanta fotografie di e con la fotografa statunitense per festeggiare i 10 anni di Camera-Centro Italiano per la Fotografia, in attesa del nuovo direttore

Jenny Dogliani

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Lee Miller attraversa gli spazi di Camera come un corpo che muta consistenza, dalla giovinezza surrealista alle ombre della guerra, in un percorso che restituisce alla fotografia il suo valore di conoscenza, prima ancora che di memoria. È sua la grande mostra con cui Camera-Centro Italiano per la Fotografia celebra i dieci anni dalla fondazione: «Lee Miller. Opere 1930-1955», curata da Walter Guadagnini. 160 fotografie provenienti dai Lee Miller Archives, molte inedite, ricompongono un itinerario visivo tra arte, moda e storia. «Abbiamo scelto Lee Miller perché tiene insieme le anime diverse che sono anche le anime di Camera, la fotografia artistica e quella più popolare passata attraverso i giornali», spiega Guadagnini, direttore artistico uscente di Camera cui dal primo novembre subentra François Hébel, già Director at Large dell’International Center of Photography di New York (2024-25) e Direttore della Fondation Henri Cartier-Bresson a Parigi (2018-22).

Nata a Poughkeepsie (New York) nel 1907, Miller entra nel mondo della fotografia come modella, posando per Edward Steichen sulle pagine di «Vogue». Ma presto decide che il suo posto è dietro l’obiettivo. A Parigi si presenta a Man Ray nei panni di una perfetta sconosciuta, con una frase che ne mette in luce la grande audacia e determinazione: «Buongiorno, sono la sua nuova assistente». Con lui realizza immagini come «Exploding Hand» o «Coiffure», trasformando in enigmi i dettagli del quotidiano. Sono gli anni delle sperimentazioni nella camera oscura, delle amicizie con Picasso, Max Ernst, Paul Éluard e Leonora Carrington. Nel 1930 Jean Cocteau la coinvolge nel film «Le sang d’un poète». Nel 1932 rientra a New York e apre uno studio in proprio; poi il matrimonio con Aziz Eloui Bey la porta al Cairo, dove la luce del deserto diventa il suo grande laboratorio. «Portrait of Space» (1937), la tenda squarciata che incornicia l’orizzonte, è una delle sue immagini più iconiche, tanto potente da avere ispirato, si dice, Magritte. 

Ma è la guerra a ridefinire il suo sguardo. Dal 1939 è a Londra come fotografa di «Vogue»: documenta la vita quotidiana tra rifugi, macerie e paradossi di eleganza. Quando nel 1944 si unisce alle truppe alleate come fotoreporter, la fotografia diventa per lei un esercizio di lucidità estrema. Entra nei campi di Dachau e Buchenwald subito dopo la liberazione, fotografa la casa di Hitler e la dimensione domestica della malvagità. In quegli scatti, come quello in cui si ritrae nella vasca da bagno del Führer, il rigore e la lucidità sostituiscono la compassione: l’orrore è trattenuto, mai spettacolarizzato. È il momento in cui è necessario uno sguardo freddo e razionale capace di tenere testa alle atrocità della storia, senza farsi sopraffare dalle emozioni. Il bianco e nero di Lee Miller non conosce modulazioni: le ombre non proteggono, non sfumano, non nascondono, esistono solo per disegnare la verità. 

Dopo la guerra, con Roland Penrose si ritira nel Sussex, in una casa che diventa rifugio per amici e artisti, da Max Ernst a Saul Steinberg, da Guttuso a Richard Hamilton, che lei stessa ritrae con la medesima immediatezza dei suoi reportage. 

Fino all’1 febbraio 2026, inoltre, nella Project Room prosegue la mostra «Cristian Chironi. Abitare l’immagine», curata da Giangavino Pazzola. Una selezione di lavori ripercorre l’intera ricerca di Cristian Chironi, dagli esordi a oggi, mostrando come l’artista usi l’autoritratto, la messa in scena e la creazione di personaggi e ambienti per indagare il rapporto tra identità, corpo e immagine. Già nei lavori a cavallo degli anni Duemila, come «Lina» (2004), «Offside» (2007), «DK» (2009) o «Cutter» (2010), la fotografia non è mai solo un documento, ma un luogo di elaborazione poetica e di confronto con il reale: le immagini esplorano la relazione tra sé e il mondo, tra gesto e contesto, costruiscono un immaginario sospeso tra realtà e finzione. I progetti più recenti, come «My house is a Le Corbusier» (2015-in corso), ampliano questa prospettiva e testimoniano l’evoluzione di una pratica sempre più ibrida, in cui la fotografia dialoga con il collage, il video e l’installazione, restituendo una riflessione aperta sul concetto stesso di abitare, l’immagine, lo spazio, la memoria.

Camera-Centro Italiano per la Fotografia, via delle Rosine 18, lun-mar-mer 11-19, Gio 11-21, ven-sab-dom 11-19, tel +39.011.0881150, camera.to, «Lee Miller. Opere 1930-1955» fino all’1 febbraio 2026

Lee Miller, «Miss Lee Miller (Acconciatura di Dimitry). Lee Miller Studios, Inc., New York, Usa, 1932». © Lee Miller Archives, England 2025. All rights reserved. leemiller.co.uk

Jenny Dogliani, 28 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Lee Miller a Torino: dalle visioni oniriche alla fotografia come esercizio di verità | Jenny Dogliani

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