«Yucca» (1941) di Alexander Calder, New York, Solomon R. Guggenheim Museum

© 2024 Calder Foundation, New York/Artists Rights Society (Ars), New York

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«Yucca» (1941) di Alexander Calder, New York, Solomon R. Guggenheim Museum

© 2024 Calder Foundation, New York/Artists Rights Society (Ars), New York

Le sculture danzanti di Calder a Lugano

Al Masi 35 opere realizzate dallo scultore statunitense tra il 1931 e il 1960, in un allestimento a cura di Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge

Era il 1926 quando Alexander Calder (Pennsylvania, 1898-New York, 1976) arrivava a Parigi. Figlio d’arte (nonno e padre scultori di fama, madre ritrattista di ottimo nome), il giovane americano era affamato di novità e a Parigi trovò ciò che cercava. Formalizzato due anni prima con il Manifesto fondativo di André Breton, il Surrealismo stava allora scardinando il formalismo delle avanguardie e mentre sposava la linea sovversiva e anarchica del Dadaismo e dei suoi assemblaggi la speziava con una forte componente psicoanalitica, con l’indagine del profondo e delle sue pulsioni.

Calder dimostrò subito di possedere tutti gli strumenti culturali necessari per riconoscere il portato di novità del Surrealismo, ma guardò anche (e molto) a Mondrian, alle sculture realizzate da Picasso con materiali di recupero (prima fra tutte, la famosa «Chitarra» del 1912) e alla spiazzante «Ruota di bicicletta» (1913) di Duchamp: non solo un «objet trouvé» ma una scultura che, seppure azionata dall’osservatore, poteva muoversi. A tutti questi spunti Calder sommò da un lato il suo istintivo gusto per il bello, per il «gioco» dall’altro. E in pochi anni, lui che aveva già attirato l’attenzione di Parigi per la straordinaria felicità nel disegnare sia sul foglio, con la matita, sia nell’aria, con il filo metallico ripiegato, diede vita a una forma di scultura capace di muoversi senza alcuna spinta meccanica (né la mano umana né un motore) ma solo grazie ai movimenti d’aria. 

Nacquero così i celeberrimi «mobile»: sottili costruzioni metalliche sospese, animate da foglie, petali, piccole ali: forme biomorfe ritagliate in lastrine metalliche colorate e lucenti che, appese a quegli esili fili, interagiscono con l’aria danzando nell’ambiente che le accoglie, mentre incorporano in sé la dimensione del tempo. «Linea, luminosità, gravità, movimento» sono gli elementi chiave del suo lavoro, spiegano nel loro testo in catalogo (Silvana) Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge, le curatrici della mostra «Calder. Sculpting Time», presentata dal 5 maggio al 6 ottobre dal Masi Lugano, il museo diretto da Tobia Bezzola, nella sede del Lac. 

Il progetto, realizzato con la Calder Foundation di New York e promosso da Fondazione Favorita, pone l’accento proprio sulla temporalità inglobata da Calder nella sua scultura. Per farlo, Carmen Giménez (curatrice già della retrospettiva di Calder del 2003 al Guggenheim Bilbao), che con questa mostra chiude il suo mandato di presidente della Fondazione Masi, ha riunito 35 opere fondamentali giunte da importanti musei del mondo (Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk, Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, Guggenheim Museum, The Lipman Family Foundation e la Calder Foundation di New York), realizzate dall’artista nei suoi anni più felici, tra il 1931 e il 1960, quando con i suoi lavori danzanti nell’atmosfera, frutto di calcoli calibratissimi ma dotati di un’assoluta naturalezza, cambiò gli statuti della scultura e il modo stesso in cui la si percepisce, trasformandola in un’entità cangiante, impermanente, soggetta a cambiare a ogni soffio d’aria e quindi costantemente rimodellata dal trascorrere del tempo.

Ada Masoero, 07 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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Le sculture danzanti di Calder a Lugano | Ada Masoero

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