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A differenza dell’aulica facciata tardo ottocentesca su corso Venezia, con paraste e telamoni, e degli spazi ineguagliabili (hanno meritato il Compasso d’Oro) disegnati da Mario Cucinella per il piano ipogeo della Fondazione Luigi Rovati, a Milano, la facciata interna del palazzo, affacciata sul giardino segreto, era sinora di una fin troppo scarna semplicità. Dal 17 settembre, però, ha cambiato volto, grazie all’intervento permanente richiesto dalla presidente Giovanna Forlanelli a Diego Cibelli (Napoli, 1987), che per questa vasta superficie bianca ha creato una serie di sculture fantastiche, modellate in quella candida porcellana biscuit che fece la fortuna della manifattura napoletana di Capodimonte.
Con un felice guizzo poetico, Cibelli ha saputo trasferirne la magia nella contemporaneità, sebbene qui l’ispirazione gli sia giunta dalla collezione etrusca della Fondazione. A sedurlo è stata «questa civiltà fortemente connessa con la natura. Mi hanno particolarmente colpito, spiega l'artista, le raffigurazioni di animali fantastici e di divinità con forme naturalistiche, e la prima sensazione è stata quella di conoscere un popolo appassionato al piacere di vivere all’aria aperta». Tanto che l’intero progetto s’intitola proprio così: «Una vita all’aria aperta».

Una veduta dell’installazione «Una vita all’aria aperta» di Diego Cibelli all’interno della Fondazione Luigi Rovati. Photo: Daniele Portanome per Fondazione Luigi Rovati
Oltre alla facciata interna, ora animata da alberi fantastici e animali, altre sue figure metamorfiche, in cui l’umano si ibrida con il vegetale, il reale con il mitologico, abitano infatti in permanenza tanto l’atrio della Fondazione (nei medaglioni che evocano le antefisse dei templi etruschi) quanto la sala d’ingresso al piano nobile, dove dal soffitto pende una ghirlanda di figure dai tratti vagamente etruschi, che s’inseguono «galleggiando» nell’aria, mentre nello Spazio Bianco è ricostruito l’atelier nel quartiere di Scampia dove i suoi lavori fiabeschi prendono forma. Perché sono lo stupore e la meraviglia il tema unificante dell’alfabeto di questo artista che, formatosi prima all’Accademia di Belle Arti di Napoli poi a Berlino, dove si è diplomato alla Weißensee Kunstochschule, è tornato «a casa» e ha creato un laboratorio in cui, con alcuni collaboratori, dà vita con la porcellana a un mondo costantemente attraversato dalla magia.
Ma non basta: dallo stesso giorno, nella Casa Museo Boschi Di Stefano, in via Jan 15 (uno scrigno d’impagabile bellezza, per l’architettura di Piero Portaluppi e per la magnifica collezione che Antonio Boschi e la moglie Marieda Di Stefano seppero comporre, riunendo veri capolavori dei maestri del ’900), Cibelli presenta una sorta di inno all’amore coniugale nella mostra «Viva chi ama!» (fino al 14 dicembre), curata da Gianfranco Maraniello, direttore dell’Area Musei di Arte moderna e contemporanea di Milano, cui Casa Boschi Di Stefano fa capo. Per l’esposizione, realizzata grazie al contributo di Acacia-Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana, l’artista ha creato una serie di lettere in biscuit che paiono fatte di piccoli sterpi e che compongono frasi dedicate agli affetti, accostandole a suoi disegni. «Un’arte coraggiosamente sentimentale, quella di Diego Cibelli, nota il curatore Maraniello, capace di reinventare tecniche della tradizione in modo sempre ispirato dai contesti espositivi». E testimone di un «saper fare» che sembrava ormai espulso dai linguaggi dell’arte.

Una veduta dell’installazione di Diego Cibelli nella Casa Museo Boschi Di Stefano
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