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Asunción Molinos Gordo, «Concomitentes Terra Común. Os sentires do monte»

Foto: Andreia Iglesias

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Asunción Molinos Gordo, «Concomitentes Terra Común. Os sentires do monte»

Foto: Andreia Iglesias

L’ultima tappa della Il Biennale delle Orobie

Alla GAMeC di Bergamo un’antologica del collettivo Atelier dell’Errore, mentre nel territorio circostante sono esposti i progetti di sei artisti internazionali

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Si avvia il 4 ottobre il quinto e ultimo ciclo del programma della GAMeC-Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, ideato e diretto da Lorenzo Giusti, «Pensare come una montagna-Il Biennale delle Orobie», che negli ultimi due anni ha coperto l’intera programmazione della Galleria con progetti di artisti italiani e internazionali ospitati tanto nella sede di Bergamo quanto nel territorio circostante.

Lasciando deliberatamente per ultima, per la sua singolarità, la mostra presentata alla GAMeC, iniziamo con la chiesa sconsacrata di Santa Maria di Gerosa (Brembilla), dove l’artista sudafricana Bianca Bondi ha realizzato un’installazione site specific fondata sull’interazione su ecosistemi e su mutazioni alchemiche dei materiali, coinvolgendo la comunità della Val Brembilla. Un’installazione site specific è stata ideata anche dall’artista messicano Abraham Cruzvillegas per gli esterni della Fondazione Dalmine, riflettendo con ironia, insieme ad associazioni del territorio, sugli scarti delle lavorazioni industriali. Gaia Fugazza ha invece realizzato, con NAHR-Nature, Art&Habitat Residency, una grande figura femminile ispirata a una pianta che germoglia getti dalle foglie e l’ha posta in una stalla della Val Taleggio per trasferirla poi in museo, mentre Agnese Galiotto, presente già nel terzo ciclo con il film «Migratori», presenta ad Almenno San Bartolomeo un affresco dedicato anch’esso al rapporto tra uccelli e umani.

L’artista spagnola Asunción Molinos Gordo, da parte sua, con l’Orto Botanico «Lorenzo Rota» di Bergamo, ha progettato nella Valle della Biodiversità di Astino un workshop artistico-partecipativo sviluppato intorno all’archivio di semi dell’Orto stesso, condividendo le storie legate a quei semi e riflettendo al contempo sul concetto di «Seeds Kinship», la capacità dei semi di generare senso di appartenenza. All’artista portoghese Pedro Vaz si deve infine l’intervento pittorico, tra figurazione e astrazione, sul paesaggio montano dell’Alta Via delle Orobie Bergamasche. Per l’occasione saranno anche riattivati alcuni lavori dei cicli precedenti.

Se questi interventi si pongono nel solco di quelli che li hanno preceduti, del tutto nuova è invece la mostra che si tiene in GAMeC, che presenta un’antologica dei lavori realizzati a partire dal 2015 dal collettivo Atelier dell’Errore, formato da dieci giovani artisti e artiste neurodivergenti guidati dal fondatore, l’artista bergamasco Luca Santiago Mora. Frutto del progetto omonimo istituito nel 2002 da Mora con la Neuropsichiatria infantile delle Asl di Bergamo e poi anche di Reggio Emilia, il collettivo nasce in seguito, da subito generosamente sostenuto dalla Collezione e dalla famiglia Maramotti (Max Mara, Reggio Emilia), per consentire ad alcuni dei partecipanti di proseguire nella pratica artistica sperimentata sino ad allora con tanto successo terapeutico nei laboratori sostenuti dalla Sanità pubblica.

Come ci spiega Luca Santiago Mora, «il collettivo artistico è nato nel 2015, su richiesta delle famiglie di tre ragazze molto problematiche che, giunte alla maggiore età, non avrebbero più potuto frequentare i laboratori della Neuropsichiatria infantile. Ora siamo completamente autonomi dalle Asl e dal 2018, da onlus che eravamo, siamo diventati impresa sociale e come sede operativa disponiamo dell’intero, bellissimo terzo piano della Collezione Maramotti, a Reggio Emilia. A quelle tre ragazze si sono aggiunti altri sette giovani, tutti incontrati nei laboratori precedenti: purtroppo per la nostra società sono dei soccombenti perché lo stigma psichiatrico fa ancora molta paura ma loro hanno un grande desiderio di riscatto e lo hanno trovato diventando artisti professionisti del collettivo, con tanto di stipendio mensile ricavato dalla vendita delle opere: l’Atelier, infatti, si autofinanzia».

Ma perché il nome «Atelier dell’Errore» e perché il tema, per tutti i lavori, è il mondo animale? «Atelier dell’Errore perché loro si sentivano “errori”. Nei lavori dell’Atelier, invece, gli “errori” non vengono mai cancellati ma valorizzati per diventare una nuova possibilità. Da noi la regola è “lasciare accadere”: i significati arrivano dopo. Perché gli animali, mi chiede? Dapprima per una ragione pratica, perché nei laboratori del servizio pubblico accadeva di sprecare 45 dei 50 minuti a disposizione per l’indecisione su che cosa disegnare. Solo in seguito ho capito che gli animali (tema suggerito da uno di loro) hanno una grande valenza simbolica, oltre a essere un fondamento della storia dell’arte».

Oltre 20 dei loro grandi lavori («grandi non per velleità di potenza ma perché le grandi dimensioni permettono di lavorare fianco a fianco per creare opere collettive»), colmi di figure fantastiche, ibride e mutanti, sono ora in mostra a Bergamo: 12 nello Spazio Zero e uno in ciascuna delle nove sale della GAMeC, in ognuna delle quali è stata disallestita una parete per ospitare questi grandi, strabilianti disegni colorati «che al di là della loro valenza artistica, conclude Mora, credo siano una ricchezza per ognuno di noi».

Ada Masoero, 28 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

L’ultima tappa della Il Biennale delle Orobie | Ada Masoero

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