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Redazione
Leggi i suoi articoliL’artista concettuale belga Guillaume Bijl è scomparso il 15 giugno ad Anversa, la città in cui era nato 79 anni fa. Autodidatta, dalla fine degli anni Settanta aveva abbandonato la pittura per dedicarsi a installazioni, sculture e composizioni tragicomiche ispirate alla nostra società consumistica, in cui a critica senza compromessi si accompagnava una buona dose di umorismo. A proposito del «turismo culturale» nel 1998 scriveva: «Nella loro ampiezza tematica, le mie installazioni non solo mettono a nudo la banalità della cultura del turismo di massa moderno, ma affrontano anche temi intellettuali. Le utilizzo per esaminare il discutibile approccio feticistico nei confronti dei personaggi storici e della loro “eredità”: camere mortuarie di compositori, sedie storiche, lederhosen storici»
Bijl riuniva objets trouvés, kitsch e di poco valore, esponendoli come se fossero reliquie dei nostri tempi, da conservare per il futuro come tesori, sottolineando il legame assurdo che le persone tendono ad avere con gli oggetti materiali. Mirava a smascherare l’accettazione cieca dei consumatori, dei cittadini, dei turisti (ma anche degli appassionati d’arte) delle «realtà suggerite», esagerando l’artificialità delle situazioni quotidiane.
Le installazioni di Bijl, si legge nella presentazione della sua mostra del 1992 al Castello di Rivoli, curata da Ida Gianelli e Giorgio Verzotti, «inducono allo spaesamento dello spettatore, che, invitato in un luogo deputato all’arte, si viene a trovare in un ambiente che, almeno apparentemente, con l’arte non ha niente a che fare. L’artista infatti (...) ha trasformato gallerie d’arte, musei, luoghi espositivi in genere, in altrettanti ambienti fra i più tipici della vita quotidiana: lavanderie, palestre, negozi d’ogni genere, supermercati, agenzie di cambio e così via. Ognuno di questi ambienti viene ricostruito nei minimi particolari, in modo da ottenere un effetto quasi iperrealista. Con queste operazioni, l’artista intende usare i luoghi del valore (artistico, culturale, intellettuale), come dispositivi di esposizione del non-valore, cioè degli oggetti più comuni, banali, kitsch. Guillaume Bijl vuole che le sue operazioni siano viste come episodi sempre diversi di un’unica rappresentazione, la messa in scena dei riti collettivi più consueti, di cui noi stessi spettatori facciamo parte integrante e attiva».
Il critico belga Jan Hoet, che fin dall’inizio ne aveva seguito il lavoro, scriveva che la sua forza risiede «nella veracità con cui sonda la presenza materiale delle cose e le rappresenta prive di ogni estetica». Come ricorda il sito di documenta, nell’annunciare la scomparsa di Bijl, lo stesso Hoet era diventato oggetto nel 1992 di una delle sue ironiche operazioni di arte spaziale. A Kassel, in occasione di documenta 9 (di cui Hoet era il direttore artistico), l’artista di Anversa aveva trasformato le vetrine davanti all’edificio in un gabinetto di figure, intitolandolo «Die Geschichte der documenta Wachsmuseum» (La storia del museo delle cere di documenta). I passanti si trovavano di fronte a effigi di personaggi legati alla storia della mostra quadriennale di Kassel: Arnold Bode e la moglie Marlou, con a sinistra una riproduzione di Klee e a destra una copia di Arp; Joseph Beuys impettito, rigido e con le guance incavate, gilet da pesca e cappello di feltro, accanto a uno dei suoi «Fettecke»; e, appunto, il direttore Hoet, in piedi accanto a un manifesto della mostra e imbalsamato come il cigno al suo fianco. L'intera vetrina era decorata con una cornice dipinta di un nero lucido come un carro funebre vittoriano su cui erano impressi caratteri gotici dorati.
Il «Wax Museum», ora al Musée d’Arte Contémporain di Montréal, in Canada, è tornato a Kassel nel 2005 per la mostra del 50mo anniversario di documenta. Un secondo capitolo del museo di Bijl, «The History of the documenta Wax Museum 2» è stato presentato nel 2022 in una mostra a Knokke, in Belgio: questa volta in vetrina, «imbalsamati», sono finiti Harald Szeemann, Bruce Nauman e James Lee Byars.
Presente alla Biennale di Venezia nel 1988, nel 1990 e nel 2009, Bijl in Italia ha esposto, oltre che nella citata mostra di Rivoli, alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Bologna, al Man di Nuoro e in gallerie private. In patria era stato protagonista di retrospettive al MUHKA di Anversa e allo SMAK di Gand. All’estero, tra gli altri, sue mostre sono state allestite alla Tate Liverpool, all’Arken Museum di Copenaghen, al Witte de With di Rotterdam. Nel 2016 ha partecipato a Manifesta 11 a Zurigo con l’installazione «Hundesalon Bobby». Nel 2007 aveva partecipato a Skulptur Projekte a Münster, città dove dal 2001 al 2011, lui autodidatta, aveva insegnato scultura all’Accademia d’arte.
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