Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Nicoletta Biglietti
Leggi i suoi articoliLa scultura, per Erwin Wurm, non è mai stabile. È qualcosa che si piega, si contrae, si svuota. Cambia forma, e con essa cambia significato. «Tomorrow: Yes» nasce esattamente da qui: dall’idea che modificare un volume significhi intervenire sulle strutture – fisiche, mentali, istituzionali – che lo sostengono. La mostra è la prima grande personale dell’artista austriaco a occupare interamente gli spazi di Thaddaeus Ropac Paris Pantin. Un progetto è pensato come un «attraversamento», un vero e proprio vocabolario scultoreo dell’intangibile, attraverso cui Wurm continua a mettere radicalmente in discussione i confini stessi della scultura.
Due installazioni monumentali ne costituiscono l’ossatura – una scuola compressa e una barca a vela piegata alta sei metri – mentre intorno, si articola un insieme di opere, in gran parte presentate per la prima volta, che spaziano dal marmo al bronzo, dall’alluminio alle forme partecipative delle iconiche «One Minute Sculptures». Al centro dello spazio si incontra «School» (2024). Un edificio riconoscibile, eppure disturbante. La sagoma richiama la scuola ottocentesca del villaggio natale dell’artista, ma è compressa, deformata, schiacciata su se stessa. Il pubblico è invitato a entrare. Dentro i soffitti sono bassi, le pareti strette e le sedie compattate. I poster d’epoca che tappezzano l’interno ripercorrono insegnamenti un tempo centrali e oggi «superati». L’esperienza è fisica prima ancora che concettuale: una sensazione di claustrofobia che mima la rigidità dei modelli educativi del passato e, allo stesso tempo, spinge a interrogarsi su ciò che oggi diamo per acquisito.
Per Wurm, «School» riguarda «la massa scultorea della conoscenza» e il modo in cui essa si trasforma nel tempo. Se oggi fatichiamo a riconoscere le distorsioni del presente, suggerisce l’artista, forse le vedremo chiaramente solo tra decenni. E la forma compressa dell’edificio dà corpo concreto a questa idea. È una «trappola percettiva», pensata per attivare la memoria, il disagio e la riflessione. Anche il gesto di scrivere il proprio nome sulla facciata – nato quasi per caso da un giornalista che, vedendo l'artista scrivere sulla facciata i suoi nomi di battesimo, ha suggerito ai visitatori di fare lo stesso – diventa parte dell’opera. Un invito a confrontarsi con il tema dell’identità, del condizionamento, del libero arbitrio.
«School» si inserisce in una ricerca avviata dall'artista già da tempo. Alla Biennale del 2011, infatti, Wurm aveva presentato la «casa stretta» dei suoi genitori; all’Albertina di Vienna la serie si era ampliata con una prima «scuola stretta». La versione francese, realizzata appositamente per Ropac Pantin, segue quelle presentate in Austria e in Giappone nel contesto della grande retrospettiva dell’artista.
Di segno diverso, ma concettualmente affine, è «Star» (2025). Una barca a vela a grandezza naturale, ispirata ai laghi del Salzkammergut austriaco. Piegata al centro, ma perfettamente funzionante, è progettata per navigare in cerchi, senza una vera destinazione. Un’immagine tanto assurda quanto precisa. La barca diventa infatti metafora delle futilità della vita contemporanea, dei suoi movimenti ripetitivi e delle sue traiettorie chiuse. Come ha osservato Max Hollein, «Wurm riesce a rendere percepibile, in modo diretto, la tragedia della condizione sociale moderna». In questo senso, «Tomorrow: Yes» si configura come un’indagine sulle filosofie che guidano le nostre vite, come esigenze costruite, deformate, e, appunto, piegate.
Erwin Wurm, «School», 2024. © Erwin Wurm, Bildrecht, 2025. Credits Rainer Iglar/Salisburgo – Vienna. Courtesy Thaddaeus Ropac.
Lungo il percorso, Wurm dà forma a ciò che normalmente sfugge alla materia. I ricordi, le credenze, i pensieri. Le «Blurred Memories» trasformano esperienze personali e scolastiche in figure antropomorfe. Le «Mind Bubbles», avviate nel 2024, traducono le nuvolette di pensiero dei fumetti in sculture instabili, sospese tra figurazione e astrazione. Gambe esili sorreggono masse arrotondate e organiche. L’equilibrio è sempre precario, come la relazione tra corpo e mente, che qui viene costantemente rinegoziata, perché, come afferma Wurm «tutto è percezione».
Come accade a molte delle sculture in mostra, le sue opere sono «sugli esseri umani, ma senza esseri umani». È anche caso dei «Box People» (2009-), figure cubiche vestite con abiti formali ma prive di testa, che interrogano il ruolo dell’individuo nelle strutture sociali e politiche contemporanee. Il tema dell’abbigliamento, centrale agli inizi della carriera dell’artista, ritorna con forza nei «Substitutes» (2022-). Qui i vestiti appaiono come involucri vuoti, gusci abbandonati, trasformati in volumi scultorei. Realizzati in alluminio dipinto, bronzo o marmo, questi abiti solidi contrastano con la loro intrinseca fragilità simbolica. Per Wurm, i vestiti sono una «seconda pelle». Un confine. Un filtro tra il corpo e il mondo.
Colletti spalancati, cappucci vuoti, calze che si accumulano sul pavimento, sono forme familiari che appaiono improvvisamente estranee. L’assenza del corpo rende questi gusci inquietanti. Come ombre, conservano l’impronta di una presenza possibile. Il monocromo e le proporzioni alterate accentuano l’effetto. Ogni capo evoca una personalità senza mai identificarla. L’abito resta, ma l’individuo scompare.
Questo dialogo con la storia della scultura emerge con chiarezza in opere come «Shadow» (2024), con la sua patina di verderame, e nella monumentale «Balzac» (2023). In quest'ultima Wurm richiama apertamente il celebre monumento di Rodin, uno dei capolavori più iconici della scultura moderna, realizzato tra il 1891 e il 1897 per onorare Honoré de Balzac. La scultura di Rodin non era un ritratto realistico: Balzac era avvolto in una vestaglia ampia, scelta per esprimere la sua statura intellettuale e spirituale, con il modello in gesso che mostrava il corpo eretto ma arcuato, dominato dal capo e dalle mani. Critici e committenza rifiutarono l’opera, giudicandola informe – e infatti solo nel 1939 il bronzo fu collocata Parigi.
Wurm riprende il gesto di Rodin, ma lo radicalizza: la «persona» emerge da un ammasso di abiti drappeggiati, suggerendo presenza e assenza al tempo stesso. La scultura diventa superficie, impronta, calco negativo. Il riferimento a Rodin stabilisce continuità storica, ma Wurm sposta l’attenzione dall’eroismo monumentale alla plasticità concettuale, alla partecipazione e all’ironia.
E qui emerge il collegamento con Joseph Beuys. Le «One Minute Sculptures» di Wurm, ideate negli anni Novanta, incarnano la partecipazione diretta del visitatore: oggetti quotidiani, istruzioni semplici e un tempo limitato. La scultura si attiva solo attraverso il corpo, e dura quanto dura l’azione. Come in Beuys, l’opera non è un oggetto concluso ma un processo attivato dall’essere umano. Ma se Beuys pensava alla «scultura sociale» come intervento politico e pedagogico, Wurm la trasforma in esperienza corporea, quotidiana, ironica.
Non c’è utopia, c’è esperienza; non trasformazione della società, ma messa in crisi delle abitudini percettive individuali. Perché in «Tomorrow: Yes», la scultura non si limita a occupare lo spazio. Lo interroga, lo restringe, lo piega. E suggerisce che il futuro è quel domani (quel «Tomorrow») da esplorare e interpretare, chiedendo a chi la attraversa, di fare lo stesso.
Erwin Wurm,«Balzac (After Rodin)», 2023. Courtesy Thaddaeus Ropac.
Altri articoli dell'autore
La mostra «Masters of Modernism From Gauguin to Warhol», in programma da Acquavella fino al 2 febbraio 2026, riunisce capolavori post‑impressionisti, moderni e del dopoguerra. Opere di Cézanne, Gauguin, Matisse, Braque, Miró, Dubuffet, Warhol e altri raccontano l’evoluzione del modernismo, dal superamento del naturalismo alle astrazioni del XX secolo. La selezione mette in luce come gli artisti abbiano reinterpretato forme, colori e composizioni, trasformando la realtà in esperienza visiva e concettuale
La mostra «Konstellationen» ripercorre l’opera di Diane Arbus attraverso oltre 450 fotografie, mettendo al centro il suo sguardo radicale sul margine e sull’alterità. Un percorso immersivo e non cronologico che riflette la sua ricerca visiva ed etica, tra ritrattistica, responsabilità dello sguardo e critica alla costruzione culturale della normalità. L’esposizione invita lo spettatore a confrontarsi con le ambiguità morali della fotografia e con il potere dell’immagine come atto di relazione
Dal 13 febbraio al 17 maggio 2026, il Van Gogh Museum ospita «Yellow. Beyond Van Gogh’s Colour», mostra che esplora il ruolo del giallo nell’arte, tra pittura, simbolismo e installazioni immersive, attraversando secoli di creatività e linguaggi artistici
Dal 28 gennaio al 28 marzo 2026, Vistamare ospita a Mialno «Converging trajectories: Ettore Spalletti meets Gino De Dominicis and Franz West», una mostra che esplora luce, fisicità e presenza, in un percorso che indaga tempo, corpo e ruolo dell’arte come esperienza vissuta



