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Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliIl 20 ottobre gli Stati Uniti si sono svegliati davanti a immagini che sembravano uscite da un film: una ruspa si faceva spazio tra muri e cavi della Casa Bianca. I video mostravano l’Ala est ridotta in macerie. La notizia ha scatenato stupore e indignazione: l’intervento di demolizione era del tutto inaspettato. Durante l’estate, il presidente Donald Trump aveva annunciato il progetto di una nuova sala da ballo destinata a ospitare cerimonie ufficiali e ricevimenti di Stato. In quell’occasione, aveva promesso che l’intervento non avrebbe alterato le strutture esistenti e che la nuova costruzione sarebbe sorta «adiacente» all’Ala est. Non appena le immagini hanno iniziato a circolare, invece, il Presidente è tornato sui suoi passi, affermando che si rendeva necessaria la completa demolizione della zona che tradizionalmente ospita gli uffici della First Lady e alcuni uffici amministrativi. Nel giro di pochi giorni la demolizione è stata completata, l’Ala est è scomparsa e con essa sono spariti il cinema privato della famiglia presidenziale, il giardino dedicato a Jacqueline Kennedy e l’atrio d’ingresso per i visitatori.
L’edificio aveva una storia lunga oltre un secolo: costruito nel 1902 come terrazza da Theodore Roosevelt, era stato ampliato e chiuso nel 1942 da Franklin Delano Roosevelt per ospitare nuovi uffici per lo sforzo bellico e un bunker segreto durante la guerra. Secondo i piani presentati dalla Casa Bianca, la nuova sala da ballo coprirà 8.400 metri quadrati, quasi il doppio della superficie dell’edificio principale della residenza presidenziale, e potrà accogliere fino a 999 ospiti. La progettazione è stata affidata allo studio McCrery Architects, guidato da James McCrery. Le immagini mostrate da Trump e pubblicate sul sito Internet della Casa Bianca suggeriscono un progetto esuberante e ambizioso che dovrebbe essere completato ben prima della fine del mandato di Trump, nel gennaio 2029. Esterni in stile neoclassico, in linea con le nuove direttive dell’amministrazione Trump per l’architettura federale, e interni barocchi, dominati da decori in oro, come piace al Presidente che di oro ha riempito anche la Stanza ovale, oltre che la sua Trump Tower a New York e la sua residenza e club privato, Mar-a-Lago, a Palm Beach, in Florida.
La sala da ballo è una necessità, sostiene Trump, un intervento di cui si sentiva il bisogno e che altri presidenti si erano limitati a sognare, mentre lui sta trasformando in realtà. Costerà 300 milioni di dollari, cifra lievitata di un terzo rispetto alle stime iniziali annunciate in estate. Ma neanche un dollaro ricadrà sui contribuenti americani, ha assicurato il Presidente. L’edificio sarà infatti interamente pagato da sostenitori privati, tra cui grandi aziende come Microsoft, Amazon, Google, Apple e Coinbase. Si tratta delle stesse grandi corporation che abbiamo visto alle spalle di Trump durante l’inaugurazione e molte hanno contratti di appalto con il Governo. Un conflitto di interessi che in tanti hanno sottolineato.
Ma a scatenare le maggiori critiche è stato il modo: con uno stile cui in questi nove mesi di presidenza gli elettori americani hanno dovuto abituarsi, il progetto è andato avanti senza consultazioni pubbliche né pareri tecnici e con un’aura di segretezza. La decisione di demolire l’edificio esistente ha colto tutti di sorpresa. Lo staff del Presidente ha subito serrato le fila dietro al progetto. Stephen Miller, vice capo di gabinetto per le politiche, ha difeso la decisione, sostenendo che l’Ala est non faceva realmente parte della Casa Bianca e che si trattava di una struttura costruita a basso costo e ormai fatiscente.
Molti, tuttavia, obiettano che Trump sembra trattare la residenza presidenziale come una sua proprietà privata. Normalmente, progetti di questa portata sarebbero sottoposti alla Commissione per le Belle Arti degli Stati Uniti (U.S. Fine Arts Commission), un organo consultivo che supervisiona edifici e monumenti federali. Ma la commissione è attualmente chiusa a causa dello shutdown del governo, in corso da oltre un mese. E, in un tempismo che non è passato inosservato, Trump ha licenziato tutti i membri proprio nei giorni in cui si concludeva la demolizione, annunciando la prossima nomina di nuovi commissari «più in linea con la politica America First». E tuttavia non è chiaro se la Commissione, che comunque non era stata consultata, potesse avere il potere di bloccare il progetto. L’organo infatti ha solo potere consultivo, tuttavia è prassi che la loro opinione sia presa in considerazione dai decisori pubblici.
La Casa Bianca ha invece affermato che sottoporrà il progetto alla National Capital Planning Commission (Commissione Nazionale per la Pianificazione della Capitale), un altro organismo federale che sovrintende ai progetti di costruzione federali a Washington, alla cui presidenza Trump ha di recente nominato un suo fedelissimo, il segretario dello staff della Casa Bianca Will Scharf. In ogni caso la Casa Bianca sostiene che la giurisdizione della commissione si applichi solo a lavori di costruzione «verticali» e non alla demolizione. Lo stesso Scharf ha dichiarato che l’organismo, anch’esso al momento chiuso a causa dello shutdown, sarebbe stato coinvolto nel progetto dopo la demolizione dell’Ala est.
Impossibile non attribuire un valore simbolico all’intera vicenda. La demolizione è iniziata all’indomani della gigantesca protesta che ha portato in strada 7 milioni di americani al grido di «No king». Con uno schiaffo a quella porzione dell’opinione pubblica, Donald Trump ha, ancora una volta, imposto la sua volontà, nonché il suo gusto e il suo ego, incurante delle procedure istituzionali. Come quegli uomini che non consultano la moglie prima di decidere interventi sulla casa, Trump ha fatto di testa sua, distruggendo, tra l’altro, gli uffici della First Lady che non sembra aver gradito tanto che, interpellata sull’argomento ha commentato: «Non è il mio progetto». Eppure, Trump e Melania alla Casa Bianca sono ospiti, ospiti del popolo americano che in tutto questo non ha avuto voce in capitolo.
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