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Nona Faustine, «Ye Are My Witness», 2018

Courtesy of the Estate of Nona Faustine and Higher Pictures

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Nona Faustine, «Ye Are My Witness», 2018

Courtesy of the Estate of Nona Faustine and Higher Pictures

A Los Angeles un dialogo culturale contro la retorica trumpiana

Al MoCA e a The Brick statue confederate rimosse, intatte o vandalizzate, sono accostate a opere contemporanee per interrogarsi sul significato dei monumenti

Quando nel settembre 2021 la statua del generale confederato Robert E. Lee fu rimossa dal suo piedistallo su Monument Avenue a Richmond, Virginia, quel monumento era ormai diventato un simbolo. Non, però, con gli stessi significati con cui era stato installato nel 1890. Intorno a quel piedistallo ormai riempito di graffiti, per mesi si erano riuniti gli attivisti del movimento Black Lives Matter che, a partire dall’uccisione di George Floyd nella primavera 2020, avevano costretto gli Stati Uniti a una storica resa dei conti pubblica.

Da questa storia recente scaturisce «Monuments», una mostra coprodotta dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles (MoCA) e The Brick che s’inaugura il 23 ottobre e che si svolgerà tra il Geffen Contemporary al MoCa e gli spazi di The Brick a West Adams. La mostra raccoglie statue dismesse accanto a nuove commissioni d’arte contemporanea, per interrogarsi sul significato dei monumenti in un’epoca in cui la loro esistenza nello spazio pubblico, caricata di controversi significati, non può più essere data per scontata.

Segni visibili di un mutato rapporto del Paese con la sua storia, la memoria e il potere, negli ultimi anni tanti monumenti confederati sono stati sotto attacco. Decine quelli rimossi, a volte con azioni improvvisate dagli attivisti, altre dalle stesse amministrazioni cittadine convinte della necessità di reinterpretare gli spazi civici in senso più inclusivo. La mostra arriva sulla scia di questa presa di coscienza su cui oggi, tuttavia, la retorica trumpiana spinge per una marcia indietro. Il dibattito sulla memoria collettiva di una società resta acceso. Una volta separati dai loro piedistalli e dai luoghi in cui dovevano svolgere la funzione di memoria e monito, che funzione possono avere questi monumenti? Lontano dall’essere apprezzati per il valore artistico dell’opera, questi monumenti erano concepiti per essere simboli, portatori di valori e di una specifica versione della storia. Ma dopo aver plasmato l’identità nazionale per secoli, oggi sono immagine di una frattura nella società americana. 

Uno still dal video «Birth of a Nation», 2025, di Stan Douglas. Courtesy of the artist, Victoria Miro, and David Zwirner. Commissioned by the Hartwig Art Foundation with the Brick, Los Angeles. © Stan Douglas

La mostra «Monuments» risponde a questa conversazione ricollocando in un contesto espositivo statue confederate rimosse, provenienti da città come Baltimora, Montgomery, Charlottesville, Richmond. Alcune arrivano intatte, altre vandalizzate, ma tutte si presentano come oggetti contestati, ripensati per essere esaminati, più che venerati o onorati. I monumenti diventano narratori di storie legate ai luoghi di provenienza, creando una geografia delle narrazioni storiche. La loro rimozione è in rapporto diretto con l’intenzione con cui erano stati inizialmente concepiti. Molti di questi monumenti, infatti, vennero innalzati all’indomani della guerra civile americana e dell’emancipazione degli schiavi, in silenziosa protesta contro gli stati abolizionisti del Nord che avevano vinto la guerra. 

L’arte, quindi, rientra in gioco proponendo una possibilità di dialogo. Accanto a questi reperti storici, la mostra presenta importanti nuove commissioni di Bethany Collins, Abigail DeVille, Karon Davis, Stan Douglas, Kahlil Robert Irving, Cauleen Smith, Kevin Jerome Everson, Walter Price, Monument Lab, Davóne Tines, Julie Dash e Kara Walker. Quest’ultima artista, nota per la sua esplorazione della storia della schiavitù nelle Americhe, figura anche tra i curatori della mostra, insieme a Hamza Walker (Direttore di The Brick) e Bennett Simpson (Curatore Senior del MoCA). Saranno inoltre esposte opere di Leonardo Drew, Torkwase Dyson, Nona Faustine, Jon Henry, Martin Puryear, Andrés Serrano e Hank Willis Thomas

La giustapposizione tra reperti storici e opere contemporanee è un espediente narrativo, in cui ogni opera contemporanea risponde alle voci racchiuse nelle statue, sottolineando omissioni e cancellazioni, ma anche storie di resistenza e trasformazione. Esponendo icone confederate accanto a opere di artisti contemporanei, il MoCA e The Brick mirano a trasformare un acceso dibattito politico in un dialogo culturale aperto, invitando i visitatori a riflettere non solo sulla vita passata dei monumenti, ma anche sul loro possibile futuro. La mostra, in programma fino al 12 aprile 2026, è accompagnata da una pubblicazione accademica e da un nutrito programma di eventi pubblici e iniziative didattiche.

Monumento ai soldati e marinai confederati, Baltimora, Maryland, imbrattato con vernice rossa dopo la manifestazione Unite the Right, 13 agosto 2017. Il monumento è stato rimosso il 16 agosto 2017. © Picture Architect/Alamy

Maurita Cardone, 22 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

A Los Angeles un dialogo culturale contro la retorica trumpiana | Maurita Cardone

A Los Angeles un dialogo culturale contro la retorica trumpiana | Maurita Cardone