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Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, con Giorgio Marisiaj, Antonio Alunni, Katia Da Rosso, Ilaria Bonacossa e altri ospiti

Giorgio Perottino

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Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, con Giorgio Marisiaj, Antonio Alunni, Katia Da Rosso, Ilaria Bonacossa e altri ospiti

Giorgio Perottino

Il segno dell’arte nelle imprese

Presentato alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo il nuovo libro e progetto voluto da Confindustria con il patrocinio del MiC, dedicato allo studio e alla mappatura di 57 collezioni corporate di arte moderna e contemporanea. Cinquantasette declinazioni del binomio arte e impresa nell’Italia di oggi, per documentare le ricadute culturali ed economiche e il sostegno al sistema e al mercato dell’arte generati da un’illuminata attività imprenditoriale, che dalle ricerche artistiche assorbe a sua volta nuove idee e orientamenti estetici per i propri prodotti

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Jenny Dogliani

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« La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica. Adriano Olivetti »

Il rapporto tra arte e impresa ha radici antiche, basti pensare a Lorenzo de Medici. Illuminato signore di Firenze, politico e mecenate, membro della famiglia che ha fondato e deteneva il primo e all’epoca più potente gruppo bancario d’Europa, legò il proprio nome ad alcuni tra i più importanti artisti del Rinascimento. Il valore culturale ed economico così generato fece grande non solo Firenze e la Toscana, ma l’Italia intera, che ancora oggi beneficia delle ricadute culturali, turistiche ed economiche di questa straordinaria eredità.

Proseguito e cambiato nel corso dei secoli, anche in virtù delle varie vicissitudini storiche e di politiche di volta in volta più stataliste o liberali, il binomio arte e impresa è diventato negli ultimi anni un asset strategico fondamentale per la crescita educativa, culturale e di benessere sociale del Paese e dei suoi tanti territori, delineando nuovi modelli di investimento in arte e cultura e alimentando il rapporto e la collaborazione tra pubblico e privato, un tassello fondamentale tanto nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, quanto nell’Italia di oggi.

Lo studio e la mappatura delle imprese italiane che investono in arte oggi è tema del volume Il segno dell’arte nelle imprese. Le collezioni corporate italiane per l’arte moderna e contemporanea, un progetto di Confindustria, con il patrocinio del Ministero della Cultura e il sostegno di Intesa Sanpaolo, edito da Marsilio Arte, a cura di Ilaria Bonacossa con Marianna Agliottone, Costantino d’Orazio e Marilena Pirrelli. Cinquantasette collezioni corporate di arte moderna e contemporanea, costruite da imprese perlopiù medie e piccole, declinano nel presente le due identità di arte e di impresa. L’idea di collezionismo alla base non è mai di tipo conservativo, ma attivo, animato da senso civico, coinvolto nella costruzione della società, nel sostegno dell’arte e degli artisti, la cui ricerca è necessaria quanto quella scientifica, poiché ci permette di meglio comprendere il mondo in cui viviamo e i suoi possibili sviluppi in futuro. «Questo libro, scrive Ilaria Bonacossa, nasce per mettere in luce il ruolo delle imprese italiane nella produzione culturale contemporanea. Le testimonianze di esperti del settore e le interviste raccolte, grazie a Confindustria, di ciascuna impresa fanno emergere la passione per l’arte e il desiderio di sostenere la produzione artistica, la contemporaneità e le sue trasformazioni da parte degli imprenditori e delle imprenditrici di tutta Italia».

Ilaria Bonacossa © Giorgio Perottino

© Giorgio Perottino

La presentazione del volume (con 287 pagine e 250 immagini), avvenuta lunedì 6 maggio in Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino, è stata l’occasione per fare il punto su un fenomeno poco conosciuto al grande pubblico e per valorizzare un modello di imprenditorialità ispirato alla Corporate Culturale Responsability, che vede le imprese motore di crescita non solo economica, ma anche civile, sociale e culturale, con una legame alla società e al territorio (quello in cui l’impresa ha i propri stabilimenti) piuttosto unici nel sistema dell’arte di oggi.

Sempre più spesso tali collezioni sfociano nella costituzione di Fondazioni che diventano luoghi fondamentali del sistema artistico italiano e internazionale. Una fra tutti quella della padrone di casa, e impeccabile ospite, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, appassionata collezionista che nel 1995 ha istituito la Fondazione di cui è presidente, oggi con diramazioni anche a Madrid, Guarene e Venezia. «La Fondazione, che non ho mai inteso come un museo della collezione, è un centro d’arte con una programmazione orientata da tre principali missioni: sostenere l’arte delle giovani generazioni attraverso mostre e produzioni di opere; avvicinare all’arte un pubblico sempre più ampio, coinvolto e partecipe; creare reti all’interno del sistema dell’arte locale, nazionale e internazionale», spiega Patrizia Sandretto, le cui attività, precisa, «sono sostenute principalmente da aziende di famiglia, con il contributo di alcune fondazioni di origine bancaria ottenute attraverso appositi bandi».

La Fondazione Sandretto, quando ha aperto i battenti in via Modane, è stata con la sua presenza uno dei primi centri propulsori di un rinnovamento urbanistico e di riqualificazione di un’area che negli anni è poi diventata quel polo di arte, cultura e innovazione che ruota intorno all’Innovation Mile.

Katia Da Ros © Giorgio Perottino

Molto più facilmente misurabile è l’impatto economico generato dall’arte e dalla cultura. Secondo la ricerca di Nomisma (commissionata dal Gruppo Apollo con il sostegno di Intesa Sanpaolo), nel 2019 il mercato dell’arte ha generato in Italia un giro di affari pari a 1,46 miliardi di euro, con un impatto complessivo pari a 3,78 miliardi di euro (effetto moltiplicatore pari a 2,6) e un numero complessivo di lavoratori coinvolti pari a 36mila unità. Numeri ancora più grandi se si allarga la scala alla prospettiva mondiale che nel 2021 ha visto un giro di affari di 65 miliardi di dollari, generato per il 40% dagli Stati Uniti, il 20% dalla Cina e il 7% dalla Francia, mentre l’Italia, causa una legislazione poco funzionale e un iva per nulla competitiva, si deve accontentare del 3% (in Europa).

Ma in Italia le potenzialità ci sono eccome, «l’industria dell’arte in Italia ha un grande potenziale economico che per essere efficientemente valorizzato richiede la promozione degli investimenti delle imprese in arte e cultura attraverso la definizione di strumenti regolatori efficaci e stabili, in linea con quelli degli altri Paesi leader a livello internazionale. Sotto questa prospettiva è auspicabile un intervento del legislatore che definisca e disciplini le collezioni d’arte di impresa, attraverso disposizioni specifiche in materia di reddito d’impresa con riferimento all’acquisto e alla vendita di opere d’arte», spiega nel libro e nel suo intervento Antonio Alunni, presidente del Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria. Il mecenatismo delle imprese, attraverso l’acquisizione o commissione di opere, è dunque uno strumento fondamentale di sostegno all’intero sistema dell’arte e del mercato italiano dell’arte e come tale andrebbe agevolato.

I criteri con i quali sono state selezionate le prime 57 collezioni corporate (56 visitabili e aperte al pubblico) mappate e studiate nel libro sono di tipo quantitativo e qualitativo: la collezione doveva possedere almeno dieci opere, datate dal 1870 ai giorni nostri, e doveva essere oggetto di attività continuative, come mostre, prestiti, restauri, valorizzazioni e nuove acquisizioni. Da Biomax a Bracco/Fondazione Bracco, Ceretto, Maramotti/Max Mara, Elica/Fondazione Ermanno Casoli, Farmalabor, Fucine Umbre, Gruppo TIM, Irinox, Museo Ferragamo/Salvatore Ferragamo, Sea Milan Airports, Studio Legale Avvocato Giuseppe Iannaccone e Associati, Tecnodinamica, Tosetti Value S.I.M., sono tante le imprese animate da mecenatismo e passione per l’arte, scevre da interessi speculativi, che hanno costruito collezioni con molteplici indirizzi capaci spesso di rispecchiare la propria cultura e identità aziendale e di trasmetterla ai propri dipendenti e clienti, assorbendo al contempo dall’arte e dagli artisti idee e orientamenti estetici innovativi per i propri prodotti.

Un capitolo a parte va al Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo, che con i suoi 100 dipendenti e 15mila opere (dall’archeologia al contemporaneo) è una delle più grandi collezioni corporate a livello internazionale, senza contare i tanti numerosi progetti su commissione, mostre, attività educative che fanno capo alle Gallerie d’Italia, il polo museale bancario su quattro sedi (Vicenza, Milano, Napoli e Torino), tra le istituzioni culturali più importanti e attive in Italia. «Intesa Sanpaolo è il risultato dell’aggregazione di oltre 600 banche che fanno parte della storia del Gruppo, da piccoli istituti regionali alla grande fusione tra Sanpaolo di Torino e Intesa di Milano. In quelle incorporazioni ci sono le storie di tante comunità. Di recente l’acquisizione stessa di Ubi ha portato documenti, opere e tradizioni. Questo tesoro è oggi nella collezione corporate, è quella storia, e da quella storia non si può allontanare», scrive Michele Coppola.

Sono proprio questi alcuni dei valori che le imprese 5.0 saranno chiamate a rendicontare attraverso il bilancio di sostenibilità ESG (Environmental, Social, Governance), misurando e dichiarando l’impatto sociale, l’inclusività e il benessere generati. «L’arte favorisce un ambiente creativo, è uno stimolo all’innovazione e alla produttività, è un favoloso strumento di comunicazione per aumentare il riconoscimento e il posizionamento del brand raccontandolo nel modo più affascinante possibile. L’arte aumenta il benessere in azienda e, nel caso di mostre aperte al pubblico, diventando un link con il territorio di cui favorisce lo sviluppo. Le corporate art collection sono uno strumento consolidato nel panorama imprenditoriale, ma ancora poco conosciuto, che genera ritorni multipli: economici, sociali, culturali e reputazionali. Questa pubblicazione lo vuole raccontare e promuovere nella consapevolezza che l’impresa è cultura, fa cultura e promuove la cultura. È il nostro contributo alla promozione del mercato dell’arte in Italia, mercato che ha un potenziale economico rilevante», conclude Katia Da Ros, vice presidente per Ambiente, Sostenibilità e Cultura di Confindustria.

 

Jenny Dogliani, 07 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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