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La riqualificazione della Galleria d’Arte Moderna di Torino è uno degli interventi culturali più attesi e strategici degli ultimi anni per la città. Un progetto che la Fondazione Compagnia di SanPaolo ha voluto collocare al centro del proprio piano strategico, presentato circa un anno fa, individuando nella GAM non solo un museo da rinnovare, ma un’infrastruttura culturale capace di produrre impatto territoriale, visione e posizionamento nazionale e internazionale. Tra i volti di questa operazione c’è Marco Gilli, presidente della Fondazione Compagnia di SanPaolo e della commissione giudicatrice del concorso di progettazione. La sua lettura del progetto affonda in una storia più lunga, che precede di molto le attuali riflessioni sul ruolo dei musei nello spazio civico. Un ruolo su cui la Gam si è interrogata fin dalle origini e non solo per il suo peso simbolico. Torino, come ricorda Gilli, ha interpretato l’arte moderna come una componente strutturale della propria identità civica molto prima che questo diventasse un dato acquisito nel panorama italiano. Già nel 1863, pochi anni dopo l’Unità d’Italia, all’interno del Museo Civico esisteva una collezione di arte moderna. Una vocazione che si consolida nel Novecento e che trova una figura chiave in Vittorio Viale, direttore dei Musei Civici di Torino dal 1930 al 1965. Archeologo di formazione, profondamente legato all’arte antica, Viale è paradossalmente la persona che più di ogni altra spinge perché Torino si doti di una vera Galleria d’Arte Moderna autonoma, consapevole che solo lì potesse concentrarsi la tensione vitale del presente. Nel 1962, quando il museo, così come lo vediamo oggi, aveva aperto i battenti, Viale scrive parole di sorprendente attualità: «A me che vengo dall’archeologia è sempre parso che solo una Galleria d’Arte Moderna possa rappresentare il centro vivo e catalizzatore per l’attività artistica che un Paese e una città esprimono. È solo in una Galleria d’Arte Moderna che si può sentire la vita che pulsa, tutta la vita del nostro tempo, e si può, attraverso la divinizzazione degli artisti maggiori, veder balenare il futuro». In queste frasi è contenuta la doppia dimensione che la GAM continuerà a incarnare: quella cittadina e quella nazionale, oggi inevitabilmente proiettata su scala internazionale.
Non è un caso che il primo concorso di progettazione per la GAM venga bandito nel 1951, in un’Italia che sta ancora ricostruendo se stessa dopo la guerra. «Le specifiche di quel bando, osserva Gilli, non sono poi così distanti da quelle del concorso appena concluso. Allora partecipano 47 gruppi, molti dei quali internazionali; vengono selezionati tre finalisti e infine proclamati vincitori Carlo Bassi e Goffredo Boschetti. I lavori iniziano nel 1954, il museo apre nel 1959. È un edificio radicalmente nuovo, pensato fin dall’origine per una funzione museale, basato sulla luce naturale, sull’asse urbano, su una concezione spaziale che rompe con la monumentalità ottocentesca e afferma un’idea di modernità misurata ma avanzata. Negli anni Novanta arriverà una ristrutturazione importante, tra il 1989 e il 1993, che però nel tempo stratifica barriere fisiche e funzionali oggi considerate superate». E così, a quasi settantacinque anni da quel primo bando, Torino torna a interrogarsi sul futuro della sua Galleria d’Arte Moderna. E lo fa, ancora una volta, attraverso un concorso internazionale. Anche questa volta la risposta è ampia e qualificata: 49 grandi studi di architettura decidono di partecipare, riconoscendo il carattere strategico e simbolico dell’intervento. Un dato che, sottolinea Gilli, «è già di per sé un segnale della centralità che la GAM continua ad avere nel dibattito architettonico e museale internazionale». Massimo Broccio, direttore della Fondazione Torino Musei, parla apertamente di una giornata storica. Per la GAM, per la Fondazione, per la città. «La riqualificazione della Galleria rappresenta il progetto più ambizioso inserito nel piano strategico della Fondazione Compagnia di SanPaolo, ma anche il più rilevante investimento museale a livello nazionale e uno dei più significativi a livello internazionale per portata, ambizione e impatto. La GAM, ricorda Broccio, è la più antica galleria civica d’Italia e custodisce un patrimonio che sfiora le 50.000 opere. Insieme alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, conserva la parte più consistente del patrimonio artistico nazionale dell’Ottocento e del Novecento». Ma non è solo una questione di collezioni: la GAM ospita una delle biblioteche d’arte più importanti del Paese, un archivio fotografico di rilievo e una videoteca unica nel suo genere, con circa 1.400 artisti rappresentati, tra le più grandi d’Europa.
Da sinistra, il sindaco di Torino Stefano Lo Russo, il presidente della Fondazione Compagnia di SanPaolo Marco Gilli, il presidente della Fondazione Torino Musei Massimo Broccio
La sfida del progetto riguarda dunque sia nil contenuto sia il contenitore. L’edificio della GAM è stato, nel dopoguerra, uno dei più osservati e studiati a livello internazionale proprio per la sua concezione spaziale e museografica: un’architettura rigorosa, geometrica, innestata nel tessuto urbano con un’idea di museo come macchina di luce, attraversata da lucernari, superfici inclinate, relazioni visive continue. È questo lo spirito innovativo e avanguardistico che il nuovo progetto intende recuperare e far evolvere, affrontando al tempo stesso le grandi questioni contemporanee: sostenibilità ambientale, risparmio energetico, innovazione tecnologica, ma soprattutto una nuova idea di fruizione museale, orientata a un pubblico plurale, inclusivo, consapevole del ruolo sociale del museo come spazio di relazione e produzione culturale. Il processo di selezione è stato impostato fin dall’inizio come rigoroso, trasparente e anonimo. Una piattaforma pubblica ha raccolto le candidature, provenienti da studi attivi in oltre 89 Paesi. La commissione giudicatrice, presieduta da Marco Gilli e composta da professionisti di altissimo profilo, ha lavora senza conoscere l’identità degli autori, concentrandosi esclusivamente sulla qualità delle proposte. Su 49 progetti, cinque sono stati selezionati per la fase finale. I criteri che hanno guidato la valutazione dei progetti finalisti hanno affrontato una questione centrale: come rileggere la GAM rendendola più aperta, più permeabile, liberandola dalle barriere accumulate nel tempo senza tradire i valori storici dell’edificio. Il nodo più delicato è stato proprio l’equilibrio tra conservazione e trasformazione, tra tutela e innovazione. Un’innovazione che doveva essere anche coraggiosa, ma sempre rispettosa dell’identità architettonica originaria. Un altro elemento decisivo è stato il rapporto con la città. L’integrazione della GAM nel tessuto urbano, l’uso razionale degli spazi interni ed esterni, la valorizzazione delle aree aperte come luoghi pubblici. Caffetteria, spazi educativi, funzioni di accoglienza pensati non come servizi accessori, ma come parti strutturali di un museo aperto, attraversabile, in cui cittadini e visitatori diventano parte integrante del programma culturale. Anche la gestione delle collezioni e dei depositi viene ripensata in chiave funzionale, insieme a scelte tecnologiche avanzate e sostenibili, all’interno di un budget definito di 27,5 milioni di euro.
I lavori della Gam a Torino nel 1954
Nel giudizio complessivo della commissione emerge una visione precisa: progettare un museo non significa semplicemente ampliare un edificio o aumentare superfici espositive, ma intensificare il ruolo del museo come generatore di cultura urbana. La proposta vincitrice risponde alle condizioni storiche della GAM e, allo stesso tempo, ne rafforza la funzione pubblica, accogliendo una pluralità di usi e di pubblici. «I musei, si legge nella valutazione, si evolvono insieme alle città e diventano sempre più connettori: tra passato e presente, tra quartieri e centro, tra comunità diverse. In questo senso, la GAM viene concepita come un luogo in cui la città entra nel museo e il museo si proietta nella città». La struttura originaria dell’edificio non viene occultata, ma resa nuovamente leggibile. Le stratificazioni di aperture e chiusure accumulate nel tempo vengono ripensate, restituendo chiarezza spaziale e visiva. L’architettura storica diventa così il fondamento di una nuova esperienza museale, capace di rispondere alle esigenze di oggi e di domani, in cui le opere tornano a essere offerte alla città come patrimonio condiviso. Di giorno la permeabilità del progetto consente un attraversamento continuo; nelle lunghe serate invernali l’edificio si trasforma in un segnale luminoso, un faro urbano che dichiara la propria presenza culturale. Il cronoprogramma è già delineato. Nei prossimi quattro mesi verrà sviluppato il progetto di fattibilità tecnico-economica; seguiranno le fasi approvative e la progettazione esecutiva, che impegneranno buona parte del 2026. L’obiettivo è avviare la gara d’appalto e i lavori nel primo semestre del 2027. Resta aperta la scelta tra mantenere il museo parzialmente aperto durante i lavori, con tempi più lunghi, o prevedere una chiusura temporanea per accelerare il cantiere. E a inizio 2026 lo studio vincitore sarà a Torino per presentare e rivelare tutti i dettagli del progetto. Lo studio vincitore del concorso, MVRDV insieme a Balance Architettura, ha sottolineato come «il progetto non nasce solo da una missione museale, ma dall’idea della GAM come luogo urbano vivo, aperto anche nelle ore serali, capace di dialogare con la piazza e con la città. Un museo pensato non come spazio statico, ma come infrastruttura culturale adattabile, capace di accogliere configurazioni diverse e di immaginare il futuro senza perdere la propria identità». In questa continuità tra storia e progetto, tra memoria e trasformazione, la nuova GAM di Torino si prepara a riaffermare il proprio ruolo non solo come museo di arte moderna e contemporanea, ma anche dispositivo civico, luogo di relazione, centro pulsante della vita culturale della città e del sistema Paese.
La Gam di Carlo Bassi e Goffredo Boschetti (esterni)
La Gam di Carlo Bassi e Goffredo Boschetti (interni)
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