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Emil Nolde, «Natività», 1911-12, Seebüll, Fondazione Ada e Emil Nolde (particolare)

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Emil Nolde, «Natività», 1911-12, Seebüll, Fondazione Ada e Emil Nolde (particolare)

Il piccolo Gesù: un neonato poco coccolato…

L’ignoranza dei riferimenti dottrinali e teologici ci impedisce di capire la raffigurazione della Natività che talvolta viene commentata con illazioni assurde

Virtus Zallot

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Nella «Natività» di Emil Nolde (1911-12, presso la Fondazione Ada e Emil Nolde a Seebüll) Gesù è un grumo rosso che solo a uno sguardo attento si rivela umano. Maria (per nulla Madonna e molto donna) lo eleva per mostrarlo al mondo e, soprattutto, a sé stessa, con orgoglio di mamma. Raggomitolato e, appunto, rosso, ricorda i cuccioli d’orso nelle miniature dei bestiari medievali. Essi, si narrava, nascono prematuri e informi, quasi pezzi di carne più che animali. La madre tuttavia li accoglie con amore e, dopo averli modellati con la lingua, «li stringe al petto per donare loro il calore e lo spirito vitale» (da Il Libro del Tesoro di Brunettto Latini, 1260-67).

Anche il piccolo Gesù di Nolde è accolto con gioia, nonostante il brutto che lo circonda e lo pervade. Se avesse potuto osservarlo, Lotario dei Segni ne avrebbe negato la divinità per eleggerlo a prova visiva delle sue ossessioni. Nel Disprezzo del mondo (1194-95) annotava infatti come l’uomo sia generato «dal sangue putrefatto per l'ardore della libidine», come il feto sia alimentato dall’«abominevole e immondo» sangue mestruale della donna e come nascano bambini mostruosi che meglio farebbero a non nascere, oppure bambini avvolti «in una schifosa membrana sanguinolenta». Del resto, precisava, il concepimento avviene «nella sporcizia e nella puzza», mentre la maternità è «ansia e pena». 

Nulla di tutto ciò, che compete ai mortali, toccò a Gesù, concepito senza peccato e partorito senza dolore, oltre che senza compromettere la verginità della madre. Tali condizioni eccezionali (verità di fede oggetto di disquisizioni spesso astruse, quasi esclusivamente da parte di dotti uomini e di vergini sante) trovarono espressione visiva sia entro la Natività bizantina (con Maria distesa su un giaciglio poiché affaticata dal parto e il bambino accudito dalle levatrici e deposto nella mangiatoia) che in quella successiva (nella quale il bimbo appare a terra davanti alla madre, istantaneamente uscito dal suo ventre e adorato da genitori, angeli e pastori). In entrambe, protagonisti, gesti, luogo e cose affermano sia la vera umanità del Dio che si è fatto uomo sia la sua divinità; come scrisse Giovanni Crisostomo (morto nel 407) la sua nascita fu infatti duplice, «una simile alla nostra, l’altra trascende la nostra».

Incapaci di cogliere tali riferimenti dottrinali e teologici, oggi vi scorgiamo genitori anaffettivi: una madre che ignora il figlioletto oppure lo adora invece che soccorrerlo e coccolarlo; un padre indifferente (persino addormentato) oppure (anch’egli) in adorazione invece che in azione. Il neonato è inoltre lasciato nella mangiatoia a una spanna dal muso di un asino e di un bue, oppure dimenticato a terra anche quando reclama attenzione allungando le manine. 

Cerchiamo, allora, qualche immagine medievale in cui almeno Maria si comporti da mamma: per esempio allattando il suo bambino, gesto comunque di valenza teologica raffigurato, per esempio, da Taddeo Gaddi in una tavola (1335) al Portland Art Museum. Angeli, pastori e persino l’asino e il bue ne sono incantati: non Giuseppe, che pensoso le gira le spalle. Altrove Maria reca il figlioletto in braccio dopo averlo ben fasciato, come racconta Luca: così nella piccola «Natività» di Lorenzo Monaco (1390-95) allo Staatliche Museum di Berlino, nella quale Giuseppe, al solito, dorme. Ispirate al racconto di Luca sono anche le Natività nelle quali la madre depone il bimbo nella mangiatoia: spesso con grande delicatezza. come nel mosaico di Jacopo Torriti (1295 o 1296) in Santa Maria Maggiore a Roma, nella tavola di Puccio di Simone  (1350) al Metropolitan Museum of Art di New York o nell’affresco di Giotto (1303-05) nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Talora la madre scosta una copertina per esporre il suo bambino all’adorazione degli convenuti e di noi osservatori, per esempio nella formella (1335-38) di Taddeo Gaddi alla Galleria dell’Accademia di Firenze. Dolcissima è la Madonna di Giovanni da Rimini (1305-10), che nella «Natività» presso la Galleria Nazionale di Palazzo Barberini a Roma china la testa per poggiare la guancia sulla testolina del suo bambino, che sostiene con delicatezza. 

Giuseppe rimane in disparte e talora dorme: nelle Natività medievali (e successive) manca il papà.

Virtus Zallot, 25 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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