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Il Comizio e il Lapis Niger nel 1899, anno della scoperta. © Archivio storico fotografico PArCO

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Il Comizio e il Lapis Niger nel 1899, anno della scoperta. © Archivio storico fotografico PArCO

Il mestiere dell’archeologo | Giacomo Boni

Con Giuseppe M. Della Fina ripercorriamo traguardi e insuccessi di alcuni archeologi che dalla metà dell’Ottocento ad oggi hanno lasciato un diario, un’autobiografia o semplici appunti di ricordi, contribuendo allo sviluppo dell’archeologia come scienza storica

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Giuseppe M. Della Fina

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Benedetto Croce si è occupato di Giacomo Boni (Venezia, 1859-Roma, 1925) e ne ha tracciato un profilo nel sesto volume dell’opera La letteratura della nuova Italia. Il fatto può sorprendere, ma è così e fa intuire la notorietà dell’archeologo in quegli anni. Il ricordo si trova nel saggio Angelo Conti e altri estetizzanti e non è favorevole. Il filosofo e storico ne riconosce i meriti come scavatore nel Foro Romano e nel Palatino, ma ne critica i «rapimenti mistici», che aumentarono negli anni. Critica anche, seppure non apertamente, la sua adesione al fascismo: «Accettava e avvolgeva delle stesse speranze ed elogi tutti gli uomini di potere, tutti i governi che si succedevano, pei quali tutti escogitava qualche riferimento romano». Al fascismo nascente dette il fascio littorio, di cui fornì il modello dopo una ricerca accurata nei precedenti di epoca etrusca e romana.

Il rapporto di Boni con il mondo archeologico italiano del suo tempo fu difficile: la formazione tecnica, gli studi da autodidatta per quanto concerne il greco e il latino, il successo «mediatico» non resero facile il dialogo. Pietro Romanelli (1889-1981) nella voce scritta per il Dizionario biografico degli Italiani ricorda l’ostilità nei suoi riguardi, a fronte dei riconoscimenti ottenuti all’estero come la laurea ad honorem conferitagli dalle Università di Oxford e di Cambridge.
Negli ultimi decenni vi è stata una rivalutazione della sua opera soprattutto per avere introdotto lo scavo stratigrafico nell’archeologia classica del nostro Paese (cfr. «Giacomo Boni. L’alba della modernità», la mostra diffusa tra Palatino e Foro Romano, 15 dicembre 2021-3 luglio 2022, organizzata dal Parco Archeologico del Colosseo, Ndr).

Nel numero del 16 luglio 1901 della rivista «Nuova Antologia», Boni pubblicò un saggio dal taglio fortemente innovativo in cui illustrò l’importanza d’indagini condotte rispettando la stratigrafia: una tecnica che aveva sperimentato in uno scavo attorno alle fondazioni del Campanile di San Marco a Venezia nel 1885, che gli valse la nomina a socio corrispondente del Royal Institute of British Architects.

La terra non era per lui un ostacolo da eliminare per portare rapidamente alla luce un monumento o un oggetto d’arte, ma il contenitore di pagine di storia da riscoprire che avrebbero potuto contribuire a comprendere meglio le vicende di quel monumento, o di quell’oggetto d’arte e il loro divenire. Ripercorriamo le tappe principali della vita e dell’attività di Boni.

Era nato a Venezia nel 1859, restato orfano a otto anni, portò a compimento studi tecnici e commerciali e, più tardi, tra il 1880 e il 1884, frequentò i corsi di architettura presso l’Accademia di Belle Arti. In quegli anni si avvicinò alle posizioni di John Ruskin ed ebbe modo di conoscerlo. Nel frattempo aveva tessuto rapporti culturali profondi con il mondo culturale inglese, che coltivò per tutta la vita. Nel 1888 venne chiamato a Roma prima come segretario per la Regia Calcografia, poi come ispettore ai monumenti presso la Direzione generale delle Antichità e Belle Arti.

Nel 1898 gli fu affidata la direzione degli scavi nel Foro Romano: ebbe inizio una stagione di scoperte notevoli sulla Roma più antica. Successivamente la competenza dell’Ufficio, che dirigeva, venne ampliata al Palatino e nuove scoperte si aggiunsero alle precedenti, come, ad esempio, la Casa dei Grifi. Nel 1912 fu inviato in Libia, a Tripoli, per provvedere alle opere di consolidamento e restauro dell’Arco di Marco Aurelio. In precedenza, a Roma, nel 1906, era stato incaricato d’intervenire per la conservazione della Colonna Traiana.

Interruppe la sua attività di scavo durante la Prima guerra mondiale e raggiunse il fronte seppure cinquantenne. Nel 1923 venne nominato Senatore nella categoria riservata a coloro che avevano dato lustro alla patria. La sua vita si concluse nel 1925. Nella seduta del 16 novembre di quell’anno, il presidente del Senato, Tommaso Tittoni, commemorò l’archeologo «che attraverso il culto profondo delle nostre glorie antiche contribuì alla preparazione dei nuovi destini del Paese».

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Giuseppe M. Della Fina, 11 marzo 2024 | © Riproduzione riservata

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