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Una veduta dell’allestimento della mostra «Magna Mater tra Roma e Zama» a Roma

Photo: Parco Archeologico del Colosseo

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Una veduta dell’allestimento della mostra «Magna Mater tra Roma e Zama» a Roma

Photo: Parco Archeologico del Colosseo

Roma: la Magna Mater abbraccia tutto il Mediterraneo

In sei sedi del Parco Archeologico del Colosseo il culto della dea e la sua fortuna nei secoli

La mostra «Magna Mater tra Roma e Zama», allestita in sei sedi all’interno del Parco Archeologico del Colosseo (6 giugno-5 novembre), promossa in collaborazione con l’Institut National du Patrimoine Tunisien, offre numerose suggestioni e percorsi di visita ripercorrendo la nascita, l’affermazione, l’abbandono dei culti della dea nell’area del Mediterraneo e la sua fortuna nei secoli durante i quali venne riscoperta.

È sufficiente mettere in fila alcune denominazioni che ha assunto per suggerire la diffusione del suo culto: Matar, nell’originaria Frigia dove talora era menzionata con l’epiteto Kubileya / Kubeleya; Kybele, Meter, Meter Theon, Meter Megale come era denominata nelle fonti greche; Magna Mater con l’epiteto Idaea per segnalare il legame, molto sentito a Roma, con il monte Ida, vicino a Troia, nell’area che parlava latino.

Tra i possibili fili da seguire, come suggerisce il titolo individuato per l’esposizione, si può scegliere di soffermarsi sul culto per la Magna Mater a Roma e nel mondo punico intrecciato con le occasioni di scontro e incontro che hanno legato le due importanti realtà del mondo antico.

Occorre riprendere in mano Tito Livio, nel libro XXIX della sua opera Ab Urbe condita, lo storico ricorda l’occasione in cui la divinità venne introdotta a Roma: un momento difficile per la città. Siamo negli anni finali della seconda guerra punica, con Annibale e il suo esercito presenti in Italia da tempo e la conseguente paura che le genti della penisola possano volgersi con favore verso il condottiero cartaginese.

Narra sempre lo storico che, nel 205 a.C., sarebbe caduta una pioggia di pietre dal cielo e, in seguito a tale prodigio, si sarebbe deciso di consultare i Libri Sibillini. Da essi i Decemviri avrebbero appreso che: «quando un nemico straniero avesse portato guerra in Italia, si sarebbe potuto allontanarlo e sconfiggerlo se la Mater Idaea fosse stata portata a Roma da Pessinunte».

Pessinunte era nel Regno di Pergamo e si scelse di conseguenza d’inviare una delegazione presso il re Attalo I per chiedere aiuto e l’autorizzazione a trasportare la pietra sacra di Cibele a Roma. Il sovrano concesse il permesso e la pietra nera, simbolo aniconico di Cibele, fu trasferita a Roma dove venne collocata dapprima nel Tempio della Vittoria sul Palatino e poi trasferita nel tempio a lei dedicato e inaugurato il 10 aprile del 191 a.C. sullo stesso colle, nella sua zona sud-occidentale dove si concentravano le memorie cultuali e mitiche più remote. Alla divinità venne attribuito il merito di avere salvato Roma e l’Italia: il suo culto venne promosso e osservato con un’attenzione particolare dalle famiglie di antica nobiltà.

Le fonti latine ricordano che la nave con la pietra sacra s’incagliò mentre risaliva il Tevere e fu una donna, Claudia Quinta, accusata di tenere un comportamento non consono per una matrona romana, a riuscire a superare l’impedimento dimostrando così la sua onestà. Un racconto esemplare che avrà fortuna in seguito e sarà ripreso, ad esempio, in un olio su tela di Benvenuto Tisi detto il Garofalo, risalente al 1525-1535 ca, e visibile per l’occasione nel Museo del Foro una delle sedi espositive della mostra.

Il culto della Magna Mater, legato a quello per l’amato Attis, si diffuse rapidamente nel mondo romano arrivando anche in regioni che in precedenza non lo avevano conosciuto e ciò è ben documentato nella sede della Curia Iulia.

Straordinarie evidenze archeologiche, sinora inedite, testimoniano la presenza del culto della Magna Mater nel Nord Africa. Esse sono presentate all’interno del Tempio di Romolo: si tratta di opere rinvenute a Zama, più tardi rinominata Zama Regia, a 154 chilometri da Cartagine, il luogo della battaglia che concluse la seconda guerra punica.

Le campagne di scavo sono state condotte dall’Institut National du Patrimoine Tunisien e le sculture che si possono osservare sono eccezionali: mi limito a segnalare una testa femminile, che potrebbe raffigurare la stessa Magna Mater. Su di essa si conservano tracce della policromia originaria e dell’uso di una sottile foglia d’oro, che rinvia a una divinità.

Vi sono poi alcune raffigurazioni di Attis di piccole e medie dimensioni di raffinatezza notevole in marmo e in calcare, ma non si possono trascurare quelle in terracotta come una che raffigura il dio morente e un’altra che lo rappresenta assiso su una roccia.

La mostra, da non perdere assolutamente, anche per il luogo speciale dove si è scelto di allestirla, è curata da Alfonsina Russo, Tarek Baccouche, Roberta Alteri, Alessio De Cristofaro, Sondès Douggui-Roux con Patrizio Pensabene, Aura Picchione e Angelica Pujia (catalogo De Luca Editori d’Arte).

Giuseppe M. Della Fina, 06 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

Roma: la Magna Mater abbraccia tutto il Mediterraneo | Giuseppe M. Della Fina

Roma: la Magna Mater abbraccia tutto il Mediterraneo | Giuseppe M. Della Fina