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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliFirenze. «L’alluvione di Firenze del 1966 portò i giovani architetti a un coinvolgimento molto vitale», ricorda Lara Vinca Masini (testimone seria e appassionata di quella stagione) «e un grande coraggio invase la città».
La mostra «Utopie radicali. Oltre l’architettura. Firenze 1966-1976», aperta dal 20 ottobre al 21 gennaio 2018 nelle sale della Strozzina di Palazzo Strozzi, per la cura di Pino Brugellis, Gianni Pettena e Alberto Salvadori (curatori anche del catalogo edito da Quodlibet Habitat), è dedicata a quelle utopie sí radicali ma al tempo stesso così ancorate nella realtà del tempo e non certo solo italiana.
È infatti una Firenze davvero internazionale quella che, in anni in un’Europa che andava «covando» il ’68, lavora sullo scambio e sui nessi tra la ricerca architettonica e le arti visive e la musica (mitici lo Space Electronic dei 9999 a Firenze o il Bamba Issa degli Ufo a Forte dei Marmi). Tuttavia non si può parlare di un «movimento» radicale, ma di gruppi e figure singole, quali Archizoom, 9999, Zziggurat, Lapo Binazzi e Ufo, Superstudio, Remo Buti e Gianni Pettena, che reagiscono al funzionalismo e al razionalismo proponendo strategie e piattaforme progettuali, invadendo ogni aspetto della vita associata, Firenze e le sue storiche piazze o i lungarni, con performance urbane e altre azioni trasgressive che demoliscono la disciplina. Animati da un’ironia tagliente nei confronti della società di quegli anni ma al tempo stesso molto colti nel loro fare dissacrante, i radicali cercano di creare un connubio tra quelle utopie e le tecnologie più avanzate.
A riassumere lo spirito che animava l’architettura radicale è il gorilla sulla copertina di «Casabella» del luglio 1972 realizzata dall’allora direttore Alessandro Mendini e dedicata a «Italy. The new domestic landscape» a cura di Emilio Ambasz al MoMA di New York, testimonianza del riconoscimento internazionale dei progettisti radicali. Le interpretazioni utopiche del mondo sono illustrate in mostra attraverso sezioni tematiche («Radical pop», «The disco club», «From the lunar module», «Utopian Cities», «Green Architecture», «Teaching architecture», «The human scale», «Early Prints and Final Act»), da disegni, dai celebri fotomontaggi e da immagini di opere: «Monumento continuo» di Superstudio, struttura aspecifica infinita che contagia l’intero globo, «No stop city» di Archizoom o «la città n.551» di Remo Buti o «Giro d’Italia. Evasione alla rovescia sul territorio» degli Ufo, o «Linear city» di Zziggurat. Dai progetti di interni e dai mobili ( il divano rosa «Bazaar» di Superstudio, «Superonda» e «Safari» di Archizoom o il «Rumble Sofa» di Gianni Pettena), ai vestiti (intendendo il corpo come luogo di sperimentazione di una creatività spensierata, bizzarra nelle forme e chiassosa nei colori), alle oreficerie, dove si ritrovaano i temi e le forme dei grandi progetti, e all’editoria, che raccoglie la grande messe di scritti teorici prodotta dai radicali.
Tuttavia, pensando all’oggi, vien anche da condividere l’amara conclusione della Masini: «A Firenze le cose vengono fuori talvolta prima che altrove, ma poi si chiudono. Firenze si alza e poi si sgonfia». Potesse la mostra riaccendere un po’ di quell’energia.

«Città lineare-proposta di corridoio urbano», un progetto di Zziggurat del 1969

L’immagine della mostra è una citazione della copertina del numero 367 della rivista «Casabella» del luglio 1972, realizzata dall’allora direttore Alessandro Mendini e dedicata alla mostra Italy. The New Domestic Landscape a cura di Emilio Ambasz al MoMA di New York che aveva celebrato a livello internazionale il lavoro dei progettisti radicali, coinvolti nella mostra di Palazzo Strozzi.
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