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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliÈ all’insegna di temi molto presenti nella sensibilità e nel dibattuto critico odierno il quarto appuntamento del ciclo «Cortemporanea» nella casa museo Palazzo Chigi Zondadari, l’ultimo edificato su Piazza del Campo a Siena. «Earth, Coral, Clouds», prima personale in Italia dell’artista italo-sudafricana Bianca Bondi (Johannesburg, 1986, vive a Parigi), propone fino all’8 dicembre un percorso che si snoda nella sale e nella corte della dimora settecentesca, tutto fondato sull’intreccio di forme organiche e inorganiche, di saperi ancestrali e di nuovi rituali, quale riflessione sulla ciclicità e la transitorietà dell’esistenza umana e sulle urgenze del pianeta. Come notano le curatrici curatrici, Fiammetta Griccioli e Cloé Perrone, Bondi si insinua negli spazi del palazzo «entrando in dialogo simbiotico con l’iconografia allegorica dei soffitti e delle pareti», ma anche sfidando con i suoi interventi, realizzati con materiali che mutano attraverso antichi processi alchemici, «l’immutabilità dello spazio circostante» e sollecitando riflessioni sulla «perdita di senso collettivo» e sulla «fragile relazione con il nostro ecosistema».
Appassionata di ecologia e scienze occulte, Bondi attinge a quei due ambiti per dar vita a opere pluridisciplinari di natura trasformativa che l’hanno portata a essere ora borsista presso Villa Medici a Roma (2024-25) e nominata per il prestigioso Prix Marcel Duchamp 2025. Per Siena, Bondi si è ispirata al testo Dark Ecology del filosofo britannico Timothy Morton, che analizza come l’idea di Natura sia stata danneggiata e su come essa non sia affatto un oggetto solido, ma parte di un tutto interconnesso, in una ciclicità, in continua trasformazione. «La Terra, scrive Morton, non è solo un foglio bianco su cui proiettare il desiderio umano: il ciclo del desiderio si basa su entità (Terra, corallo, nuvole) che esistono anch’esse in forma di ciclo in relazione tra loro e in relazione agli esseri umani».
Gli interventi, tutti site specific, sono sempre scanditi dell’elemento rituale e dall’aura che emana dall’oggetto di qualsiasi natura esso sia: fin dall’opera che ci accoglie nella corte, una composizione sospesa di fiori e crocifissi bruciati «Procession for the lost and found» (2025), quale simbolo di un’offerta all’invisibile, ma anche evocazione del fragile equilibrio tra distruzione e rinascita, presenza e assenza.
La relazione ancestrale tra acqua, rito e trasformazione è richiamata, nel salone da ballo, da «The Nymphaeum» (2025), una grande vasca di acqua salata turchese che riflette e distorce la luce, ed è al tempo stesso ninfeo e coppa rituale. Nella sala da pranzo, col soffitto decorato con cielo stellato, il tavolo da banchetto vede fondersi merletti e minerali in una sospensione tra passato e futuro («What grows after us», 2025). La sospensione temporale si ritrova anche alle pareti, nella serie «Lorelei» (2024), in cui manipolazioni fotografiche di anfore di rame immerse nell’acqua sono tradotte in trama tessile e divengono arazzi arricchiti da fiori simbolici: ancora una volta quindi acqua salata e fiori.
L’idea della trasformazione di continua evoluzione, con materiali organici che ricoprono oggetti di epoche passate e mutano forme attraverso processi di cristallizzazione (qui l’ispirazione è il crostaceo Megabalanus tintinnabulum, che si adatta e sviluppa su superfici dure di scafi di navi, ponti o anche rocce) ispira la serie «Bloom», mentre i «Cabinets» (2024-25), nella galleria, sono Wunderkammer di frammenti di natura cristallizzati, reliquie sospese tra cura e dissoluzione.