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Anselm Kiefer, «Elektra», 2025 (particolare)

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Anselm Kiefer, «Elektra», 2025 (particolare)

«Elektra», il nuovo, monumentale anfiteatro in cemento armato di Anselm Kiefer

L’opera è la protagonista di una nuova ala del Mona-Museum of Old and New Art di Hobart, il cui investimento ha superato i 100 milioni di dollari australiani

Cecilia Paccagnella

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Il 19 dicembre una performance privata ha segnato l’apertura di «Elektra», il nuovo, monumentale anfiteatro in cemento armato di Anselm Kiefer al Mona-Museum of Old and New Art di Hobart. Alla cerimonia erano presenti l’artista tedesco, oggi ottantenne, il fondatore e proprietario del museo, David Walsh, e la moglie Kirsha Kaechele, insieme a danzatori e musicisti che hanno attivato lo spazio prima dell’accesso al pubblico. L’opera è la seconda installazione permanente di Kiefer al Mona, accanto a «Sternenfall / Shevirath ha Kelim» (2007), all’interno di una collezione che include anche Ai Weiwei, Alfredo Jaar, Wim Delvoye e Charles Ross, e costituisce il fulcro di una nuova ala del museo, frutto di quattro anni di costruzione e di un investimento che, come ha ammesso Walsh sul blog del Mona, ha superato i 100 milioni di dollari australiani, ben oltre il costo dell’edificio originario. Un’espansione nata da un processo di continua ridefinizione, alimentato da «nuove idee e nuovi lavori», che ha portato a un significativo scarto rispetto alle previsioni iniziali.

Più che un ampliamento funzionale, «Elektra» rappresenta la materializzazione di un’esperienza vissuta altrove. Il suo modello è l’anfiteatro grezzo e monumentale di La Ribaute, la tenuta-studio che Kiefer ha costruito nei pressi di Barjac, nel sud della Francia. Walsh riconduce a una visita del 2007, durante la fase di costruzione di Mona, quello che definisce un vero «momento damasceno»: un incontro con un’arte capace di essere totalizzante, precisa e brutale, e di trasformare lo spazio stesso in opera.

All’epoca, mentre «scommetteva la casa» sul più grande museo privato australiano, Walsh si sentiva sopraffatto e temeva che Mona risultasse incompleto rispetto alla potenza di La Ribaute. Da quella rivelazione nacquero intuizioni decisive, come l’uso della luce minima nei tunnel del museo, ma anche un debito simbolico nei confronti di Kiefer, oggi saldato con la commissione di «Elektra».

L’apertura della nuova ala conferma così l’ambizione di Mona di offrire esperienze immersive e perturbanti, in cui architettura e arte coincidono. Resta invece in attesa la nuova biblioteca monumentale annunciata in passato: per ora, fanno sapere dal museo, «non c’è altro da riportare». Mona, inaugurato nel 2011 e ampliato nel 2017 con Pharos, continua intanto a ridefinire i confini tra spazio espositivo, opera e visione personale del suo fondatore.

Cecilia Paccagnella, 30 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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