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Cecilia Paccagnella
Leggi i suoi articoliSin dal 2009 New York sfoggia uno spazio verde sopraelevato, un parco urbano di 2,33 chilometri che ha dato nuova vita alla West Side Line. Il progetto ha visto l’ultima tappa nel 2019, quando ha aperto al pubblico «The Spur» (ovvero «lo sperone»), all’incrocio tra la 30ma e la 10ma Avenue. Qui, ogni 18 mesi, nello spazio del «Plinth» un’opera d’arte troneggia sulla città e diventa parte integrante del paesaggio. Il progetto è stato inaugurato con Simone Leigh, seguita da Sam Durant (2021), Pamela Rosenkranz (2023) e il gigante piccione di Iván Argote che aveva fatto tanto discutere lo scorso anno.
Per la quinta edizione è stato chiamato Tuan Andrew Nguyen (Saigon, Vietnam, 1976) che dalla prossima primavera installerà una monumentale scultura in arenaria (alta 8 metri) in omaggio ai Buddha di Bamiyan, ovvero a due statue del VI secolo originariamente situate nell’Afghanistan centrale, ma distrutte nel 2001 dai talebani. Le due nicchie in cui erano esposte, luoghi sacri per i buddisti sulla Via della Seta, sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità Unesco nel 2003.
«The Light That Shines Through the Universe» riprende il modo in cui le comunità locali si rivolgevano al Buddha più grande, «Salsal», che tradotto in italiano significa «La luce risplende attraverso l’universo». Nguyen crea una propria interpretazione delle statue per evocarne il ricordo e renderle immortali, in quanto simbolo eterno di vita, guarigione e pace che trascende la dimensione fisica e reale. Il motivo della reincarnazione è molto caro all’artista, perché attraverso di esso esplora le ingiustizie del passato e le confronta con il presente, traendo spunti di riflessione anche rivolti al futuro. Nello specifico, ad interessarlo sono le situazioni di conflitto e di violenza (come l’atto di iconoclastia che ha coinvolto i due Buddha di Bamiyan) che inevitabilmente lasciano dei vuoti, degli effetti collaterali che talvolta possono riguardare anche il patrimonio culturale.
Un ulteriore elemento chiave nell’opera è rappresentato dalle mani: perdute molto prima della distruzione del 2001, Nguyen le immagina in ottone fuso dai proiettili di artiglieria nell’atto di compiere gesti rituali di coraggio e compassione. La scelta racchiude un doppio significato, perché da un lato l’artista ha voluto rimodellare un oggetto come il proiettile e convertirlo in qualcosa di positivo, dall’altro queste mani possono essere viste come delle protesi, a rimarcare la crisi umanitaria delle persone vittime di mine antiuomo o ordigni inesplosi come quelli rimasti in Vietnam.
Il Buddha di Nguyen è quindi un inno alla speranza e allo stesso tempo un invito a riguardare il potenziale dell’arte e della cultura all’interno di determinati contesti politici, perché, come dichiarato sul sito stesso della High Line, «serve come potente appunto che la memoria e la nostra umanità condivisa sono il miglior antidoto contro coloro che cercano di spezzare e disperdere lo spirito umano».
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