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Due giovani americani, provinciali e senza istruzione, possono salvare il mondo? Il terrapiattismo secondo Yorgos Lanthimos

E se la terra fosse davvero piatta e se gli andromediani della galassia più prossima fossero già tra noi e volessero sterminarci perché siamo “scimmie rotte”? Il pluripremiato regista greco colpisce ancora con il remake di un film di culto sudcoreano in concorso a Venezia.82.

Nicola Davide Angerame

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Due giovani americani, provinciali e senza istruzione, possono salvare il mondo? E perché no, nel mondo della post-verità ogni scenario diventa pensabile se non addirittura possibile, almeno per coloro i quali studiano più su internet che nelle attuali università, americane e non. Il complottismo è una ossessione o una cultura? E qualche verità può dirla?

Yorgos Lanthimos, regista greco tra i più radicali del nostro tempo, si è imposto con un linguaggio che mescola crudeltà, ironia e paradosso. Con Dogtooth (Un Certain Regard, Cannes 2009) ha rivelato il suo mondo disturbante. Il suo The Lobster (Premio della giuria a Cannes nel 2015) è un capolavoro di distopia sentimentale. Nel 2018 The Favourite lo ha consacrato a Hollywood con dieci nomination e l’Oscar a Olivia Colman, mentre Poor Things si è aggiudicato due anni fa un Leone d’Oro a Venezia e quattro Oscar successivi, confermando la sua capacità di fondere il grottesco con il lirismo. Il suo cinema resta un laboratorio sul potere, il desiderio e l’assurdità delle relazioni umane. Ma in questa film c'è di più.

Emma Stone è talmente vicina al mondo ideale di Yorgos Lanthimos, e così amichevolmente prossima, che anche questo film, come già era successo per quel Povere Creature che le fruttò l'Oscar, ha voluto scriverlo insieme al regista. Malgrado ciò, la storia di Bugonia, presentato in concorso, è originariamente stata scritta e messa in scena nel 2003 da un altro regista cult, il sudcoreano Jang Joon-hwan, con il titolo Save the Green Planet. Per cui sembra improbabile che possa vincere, ma “mai dire mai”. La storia è una delle sue tipiche: spiazzanti e goliardiche, come sospese sull'orlo di una follia giocosa che appare emancipata da qualsiasi responsabilità morale, una morale che invece appare sottotraccia mentre più evidenti sono le condanne senz'appello attribuita, in primis, all'umanità. Nessuno si salva dalla furia demistificatrice del film: anche il terrapiattismo che ormai è una narrativa che fa parte del nostro mondo. Nel remake, Lanthimos crea un gioco dialettico a somma zero tra paranoia e farsa, a partire dal rapimento della ceo biotecnologica da parte di un apicultore complottista, interpretato da un Joe Stumberg borderline, in una tipica casa dell'orrore americana che diventa laboratorio del sospetto: la vittima, una Emma Stone rasata per l'occasione, è insieme colpevole e innocente, carnefice e redenta, mentre lo spettatore viene risucchiato in una spirale di titubanze e risate a denti stretti. Come accadeva in The Lobster, dove la società condannava i single a trasformarsi in animali, e in Kinds of Kindness (2023), con la sua anatomia estrema delle relazioni di potere, anche qui Lanthimos si serve della deformazione della realtà per smascherare i nostri miti contemporanei. Non c’è più bisogno di distopie: basta la cronaca dei complottismi, delle ossessioni anti-scientifiche per offrire materia a un incubo tragicomico.

La giuria di Venezia aveva riconosciuto “il ruolo centrale di Lanthimos nel cinema contemporaneo, capace di portare in equilibrio premi da festival d’élite e consacrazioni hollywoodiane”, che è poi uno dei grandi pregi spesso riconosciuti, mutatis mutandi, proprio al presidente della Mostra, Alberto Barbera.

Anche dal punto di vista della classificazione per generi, il film ne usa diversi: il thriller psicologico, il noir e l'horror declinato in slapstick, fino a costruire un non-genere che piace più alla generazione Z, che in lui può trovare quello che la generazione precedente scopriva in Tarantino. I protagonisti si agitano come pesci fuori d’acqua, intrappolati in un dramma da camera che è insieme esercizio di claustrofobia e di comicità perturbante.

Il film procede per collisioni, più che per costruzione. Vi si interpola una condanna della farmaceutica in un mondo che deve uccidere per salvare, forse. Ma è proprio in questi attriti che Lanthimos trova la sua forza. La risata slapstick convive con la violenza più cupa; la paranoia si scioglie in poesia grottesca. Lo spettatore è tenuto sospeso in uno spazio ambiguo, incapace di scegliere tra empatia e distacco. Come se il cinema fosse oggi chiamato a raccontare l’impossibile catalogazione del reale. Sospeso sul proprio finale, questo film parodizza la nostra situazione di abitanti di un mondo in crisi che sono iperconnessi eppure disinformati, informati eppure creduloni. E nonostante ciò dotati di una propria saggezza, di una ideologia condivisibile. Lo smarrimento contemporaneo è il bersaglio di un regista che fa un cinema esso stesso smarrito, fluido, e proprio per questo capace di fornire un linguaggio alle generazioni più recenti di cinefili.

E se poi gli alieni esistessero davvero e volessero sterminarci perché ci trovano terribilmente primitivi e violenti, è probabile che molti di loro non sarebbero nemmeno così discordi. Gli applausi in sala forse vogliono dire anche questo.

Nicola Davide Angerame, 01 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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