Simone Facchinetti
Leggi i suoi articoliLe aste sono ricche di sorprese. Lo scorso 17 settembre la sede periferica del Ponte a Milano («il Vascello»), ha messo in vendita un lotto di chincaglierie (il numero 595) che comprendeva una curiosa stampa fotografica. Anticipo subito che non ha alcun valore pecuniario, ma ciò non significa che non abbia alcun valore storico. Infatti, fa sorgere una serie di domande: a quando risale e, soprattutto, in quale occasione è stata scattata?
L’opera che riproduce è piuttosto nota, una tavoletta di Lorenzo Lotto conclusa il Venerdì Santo del 1544. È una testimonianza commovente perché va interpretata come una preghiera figurata. Lotto ha passato in rassegna i vari momenti della Passione, riassunti nei gesti e nei simboli (arma Christi) che circondano il Crocifisso. Sul retro della fotografia c’è un foglietto che riporta (più o meno esattamente) quello che si trova scritto sul retro della tavola: «Questo Crocifisso è fatto da Messer Lorenzo Lotto omo molto divoto et per sua divozione il fece la septimana santa et fu finito il Venerdì Santo all’ora della Passione di N. S. Gesù Cristo». La trascrizione è stata fatta nel 1871 da Giberto Borromeo (1815-85), primogenito di Vitaliano Borromeo. Le etichette che fissano il foglio alla fodera della cornice portano il timbro della Biblioteca Borromeo.
Ma torniamo alle domande. Chissà se la scritta coincide con l’epoca dello scatto. Se così fosse sarebbe una delle prime fotografie che riproduce un’opera di Lotto. Possiamo immaginare che l’interesse del conte Giberto (ai suoi tempi definito «céléberrime bibliophile») si fosse concentrato più sull’iscrizione che sull’autore del quadro. Bisognerà infatti aspettare Bernard Berenson (profondamente sedotto da Lotto: «Se fossi un artista, somiglierei al Lotto», scrisse nel 1892) per vedere nascere un nuovo interesse nei confronti del geniale pittore veneziano. Forse era destino che quel piccolo dipinto finisse proprio nelle sue mani (oggi si conserva nella villa in cui abitava a Settignano), grazie al dono generoso, e forse non disinteressato (risalente al 1953), dell’antiquario Alessandro Contini Bonacossi. Quando, di preciso, sia stato alienato dai Borromeo resta ancora un mistero. Venduto il quadro ci si poteva sbarazzare anche della sua fotografia. A quel punto era solo un brutto ricordo.
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