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Margherita Panaciciu
Leggi i suoi articoliA dicembre, mentre Milano inghiotte inaugurazioni e preview, Finarte si ritaglia tre giorni di densità museale in Via dei Bossi 2. Non semplici aste ma un trittico che sembra voler restituire la costellazione eterogenea dell’arte del Novecento, dalle geometrie ottiche di Vasarely ai bronzi lirici di Marino Marini, fino al capitolo più politico e intimo: la collezione di Palmiro Togliatti e Nilde Iotti.
Il programma è un crescendo. Il 2 dicembre apre la scena con la Grafica Internazionale e i Multipli d’Autore: un catalogo che compie dieci anni ma mantiene tutta la freschezza di una sezione agile, accessibile, perfetta per chi vuole iniziare a fare sul serio senza la solennità del «pezzo importante». Un’avvertenza: è spesso da queste sessioni apparentemente minori che sbucano sorprese. Il 3 dicembre arriva Arte Moderna e Contemporanea. Qui Finarte gioca la carta dell’internazionalità e della qualità museale, con una selezione che ha il passo deciso dei cataloghi «forti». Il bronzo di Marino Marini, «Piccolo miracolo», vibra degli anni Cinquanta e si impone come una delle presenze più rare e ricercate della vendita. La stima? 280mila – 320mila euro. Attorno, una costellazione ben calibrata: il «papier collé Guitare» di Henri Laurens (1918), valutato tra i 70mila e i 90mila euro, che rimette in gioco tutta l’eredità cubista; la poesia surreale di Max Ernst in «Lune Jaune» (1960; 80mila – 120mila euro); l’enigmatica classicità deformata di «Uomo con la pipa» di Alberto Savinio (1927; 95mila – 120mila). E poi Casorati, de Pisis, Pirandello, Ziveri: un intero secolo di inquietudini italiane che ancora oggi cercano chi sappia leggerne l’attualità.
Alberto Savinio, «Uomo con la pipa», 1926-27; stima 95mila-120mila euro. Courtesy of Finarte
Non manca un omaggio ad Arnaldo Pomodoro, con una monumentale «Tavola dei segni» del 1960 (80mila – 100mila euro) che sembra portare in superficie la materia stessa della scultura, e una sfera in bronzo dorato che condensa, in pochi centimetri, l’intero lessico dell’artista (70mila – 90mila). La Pop Art italiana entra poi in scena con la consueta sferzata metropolitana: Schifano, Mambor, Lombardo, Rotella, Angeli - nomi che ancora definiscono la grammatica visiva di un’Italia sospesa tra boom economico e disincanto. Per gli iconofili globali, c’è anche il Warhol più politico e più pop: un «Mao» del ’72 - stimato 50mila – 70mila euro - in tiratura serigrafica, testimonianza di quando l’immagine era già diventata ideologia. A chiusura, un affondo negli anni Settanta, con Salvo, Boetti, Nunzio, Pascali, Dorazio e un Vasarely del 1974 che restituisce intatto il fascino anestetico e ipnotico dell’Op Art. Il 4 dicembre, infine, l’asta che ha forse la temperatura emotiva più intensa: la collezione privata di Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, un «atlante sentimentale» della cultura politica italiana del dopoguerra. Al centro, naturalmente, Renato Guttuso: dipinti e disegni che parlano della loro amicizia, del loro sodalizio, e di un’idea di figurazione impegnata che non ha mai smesso di essere attuale. Il gusto della coppia emerge nitido: niente divagazioni informali, nessuna fuga nelle astrazioni radicali. È un racconto politico e umano, fatto di colori terreni, volti, storie.
Renato Guttuso, «Ragazza calabrese», 1950; stima: 15mila-20mila euro. Courtesy of Finarte
Arnaldo Pomodoro, «Sfera», 1978; stima 70mila-90mila euro. Courtesy of Finarte
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