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Un particolare del Crocifisso del Beato Angelico dopo il restauro

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Un particolare del Crocifisso del Beato Angelico dopo il restauro

Curato da restauratori e medici il Crocifisso di Beato Angelico a Fiesole

Il restauro dell’affresco del Convento di San Domenico è stato finanziato dai Friends of Florence. A settembre a Palazzo Strozzi una mostra sul pittore

In attesa della grande mostra, a cura di Carl Brandon Strehlke, Angelo Tartuferi e Stefano Casciu, che la Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze dedicherà a Beato Angelico dal prossimo 26 settembre al 25 gennaio 2026, le opere del frate pittore sono oggetto di numerosi restauri. Si è appena concluso quello «Crocifisso» affrescato nella sala del Capitolo del Convento di San Domenico a Fiesole, reso possibile dalla Fondazione Friends of Florence (presieduta da Simonetta Brandolini d’Adda), grazie al dono di Gerhard De Geer, insieme a tre medici. Steven Woloshin, internista e docente statunitense, ha scoperto l’affresco per caso durante una visita del convento insieme ai cardiologi italiani Camilla Alderighi e Raffaele Rasoini con i queli si trovava a Fiesole per un corso sui rapporti tra medicina e media. Il corso era incentrato sulla questione medica di leggere i dati originali e saperli comunicare. Lo stesso esercizio è stato messo in pratica dai tre medici del Gruppo Belacqua prendendosi a cuore quest’opera colpiti dalla sua forza espressiva e dalla sua condizione precaria, e impegnandosi per finanziarne il restauro.

Proprio nel Convento fiesolano di San Domenico intorno al 1418 Guido Di Pietro diviene Fra Giovanni (poi Beato Angelico) e dipinge diverse opere, disperse a seguito delle soppressioni napoleoniche, quali la «Madonna col Bambino e i santi Domenico e Tommaso d’Aquino» (oggi all’Ermitage, l’«Annunciazione» (al Prado), l’«Incoronazione della Vergine» (al Louvre), mentre si conserva ancora nella chiesa, seppur in diversa collocazione, la pala dell’altar maggiore («Pala di Fiesole»).  La sala capitolare è un luogo piccolo e raccolto, come erano d’altronde le dimensioni dell’intero convento all’origine, nel quale i frati entravano almeno due volte al giorno per riconoscere le proprie colpe e la sera per un momento di riflessione coi confratelli: una sala diversa, per dimensioni, da altre sale capitolari domenicane, come il cappellone degli Spagnoli di santa Maria Novella o la sala capitolare di San Marco, il convento costruito per volere di Cosimo il Vecchio e decorato interamente da Beato Angelico anni dopo. 

L’affresco è ora datato al 1430 circa: John Spike e Luciano Berti suggerivano una datazione al 1425 circa, mentre John Pope-Hennessy, la riteneva opera matura, forse addirittura di un collaboratore del maestro, ipotesi poi respinta. L’iconografia del Cristo è piuttosto insolita, con la testa piegata in avanti, ma perfettamente in asse con la croce, come avviene solo in un «Crocifisso» di Giovanni da Modena.

Interamente scialbato nel 1866 (forse per motivi di igiene?), l’affresco viene  ritrovato nel 1879-80 da padre Raimondo Magrini. Nel 1881 viene chiamato il pittore-restauratore (le figure allora si confondevano) Oreste Cambi, che ridipinge l’opera nelle parti più offese dalla descialbatura: restano infatti ancora evidenti le tracce di martellatura della superficie, per staccare la pellicola pittorica dallo scialbo. I rifacimenti di Cambi riguardarono in particolare il volto di Gesù e il sangue che sgorga dal costato, come testimonia una vecchia foto Alinari in bianco e nero degli anni Venti del Novecento. Sarà Dino Dino, nel 1955, a rimettere le mani sull’affresco, eliminando le ridipinture e operando secondo criteri moderni e scientifici; lo stesso Dini (poi protagonista di molti restauri di opere danneggiate dall’alluvione di Firenze) revisionerà il «Crocifisso» nel 1984, applicando un impacco di idrossido di bario sulle superfici, metodologia allora innovativa.

L’intervento odierno, durato circa tre mesi e compiuto dalle restauratrici Cristiana Conti e Alessandra Popple, sotto la direzione di Irene Biadaioli, funzionaria restauratrice della Soprintendenza Abapdi Firenze, è stato di carattere prevalentemente manutentivo e di studio della storia dell’opera. Si è svolto infatti nel pieno rispetto dell’operato di Dini ed è consistito in una pulitura dalla polvere e dal denso fumo nero, nel consolidamento della materia pittorica laddove erano alcuni cretti e lacune, specie sul corpo di Cristo e nella parte alta della cornice, nell’eliminazione delle macchie di umidità sul fondo blu e nel consolidamento degli intonaci.

È emerso che l’affresco fu realizzato in nove giornate, che presenta dorature eseguite a conchiglia, come ad esempio l’aureola, e che non fu impiegato, tra i pigmenti, l’azzurrite. Vi sono tracce di disegno a sanguigna nella parte bassa della cornice e di spolvero nella partitura decorativa.  Resta un mistero che cosa sia avvenuto nella parte inferiore, dove l’intonaco sembra rifatto, ma in epoca precedente alla scialbatura ottocentesca, perché reca comunque tracce di martellatura.

Laura Lombardi, 17 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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Curato da restauratori e medici il Crocifisso di Beato Angelico a Fiesole | Laura Lombardi

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