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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliIl 27 dicembre 2025 Cambogia e Thailandia hanno annunciato un nuovo cessate il fuoco dopo settimane di combattimenti lungo la frontiera orientale. L’accordo – entrato in vigore immediatamente – ha congelato le operazioni militari e aperto una fase di relativa stabilizzazione in un’area densa di stratificazioni storiche, religiose e architettoniche. Con l’arretrare delle postazioni militari e il silenzio improvviso delle armi riemergono i templi khmer rimasti intrappolati nella contesa, iconici e monumentali luoghi di culto costruiti dall’Impero Khmer tra il IX e il XV secolo, quando il grande regno dell’Asia sud-orientale aveva il suo centro nell’area dell’attuale Cambogia e si estendeva su vaste zone di Thailandia, Laos e Vietnam.
Tra questi templi, Prasat Ta Khwai occupa una posizione emblematica. Edificato lungo la catena dei Dângrêk, in una fascia di territorio che nei secoli ha collegato l’altopiano cambogiano con l’attuale Thailandia nord-orientale, non è un grande complesso monumentale come Angkor Wat né un santuario-fortezza come Preah Vihear, ma un edificio più raccolto, costruito tra XI e XII secolo in laterite e arenaria, secondo un lessico architettonico khmer essenziale e rigoroso. La pianta, compatta e leggibile, ruota attorno a un santuario centrale dedicato a Shiva, come attestano le fonti storiche e le tracce del culto lingamico. Shiva, una delle principali divinità dell’induismo, era venerato nell’Impero Khmer attraverso il lingam, forma astratta del dio che simboleggia l’energia creatrice e rigeneratrice, collocata al centro del santuario come fulcro rituale e cosmico. Il tempio è l’espressione di un’architettura che rinuncia all’enfasi per affidarsi alla proporzione, alla relazione con il paesaggio e al dialogo silenzioso con la foresta che lentamente l’ha inglobata. In origine, Prasat Ta Khwai faceva parte di una rete di templi minori disseminati lungo le vie di comunicazione dell’Impero Khmer: nodi sacri in un territorio attraversato da pellegrini, funzionari e mercanti.
Prasat Ta Khwai nel 2024, prima degli scontri
Nel corso del 2025, la ripresa degli scontri ha investito anche le aree archeologiche, trasformando il tempio in un luogo esposto, fragile, segnato da danni strutturali. Le immagini diffuse nei giorni del conflitto restituiscono l’idea di un patrimonio improvvisamente fragile, rimasto ai margini della cronaca militare e diplomatica della crisi. Pochi giorni prima del cessate il fuoco, il Dipartimento delle Belle Arti della Thailandia è intervenuto ufficialmente su Prasat Ta Khwai. In una dichiarazione del 26 dicembre il direttore generale Phanombut Chantarachot, responsabile nazionale per la tutela dei monumenti storici, ha affermato che «il sito può essere restaurato», precisando che «i danni strutturali non precludono un intervento di conservazione» purché l’area torni «sotto pieno controllo civile e in condizioni di sicurezza». Il Dipartimento, ha aggiunto, che si potrà operare con «metodologie archeologiche consolidate, inclusa l’anastilosi», già applicate in precedenti restauri di complessi khmer in Thailandia.
A rendere Prasat Ta Khwai particolarmente significativo non è soltanto la sua datazione, ma la funzione che svolgeva nel sistema territoriale khmer. Il tempio appartiene a quella costellazione di santuari «periferici» che non erano destinati alla monumentalità celebrativa, ma alla presenza continua del sacro nel paesaggio. La sua collocazione sui Dângrêk non risponde a una logica difensiva, bensì a una visione rituale del territorio, in cui alture, passaggi e soglie geografiche erano luoghi privilegiati per l’insediamento religioso. Dal punto di vista artistico, Prasat Ta Khwai riflette una fase matura dell’architettura khmer, caratterizzata da volumi compatti, decorazione misurata e un forte controllo delle proporzioni. L’uso combinato di laterite strutturale e arenaria per gli elementi scolpiti rimanda a una pratica costruttiva diffusa nei templi dell’XI secolo, mentre l’impianto concentrico del santuario indica un culto attivo, quotidiano, più che cerimoniale.
Angkor, in Cambogia, cuore monumentale dell’Impero Khmer tra IX e XV secolo
Non un monumento isolato, dunque, ma un luogo abitato dal rito, inserito in una rete di pratiche religiose che legavano il centro imperiale alle sue estensioni regionali. È anche per questa ragione che il tempio ha continuato a esercitare un ruolo simbolico ben oltre la fine dell’Impero Khmer: la sua persistenza nel paesaggio ha accompagnato trasformazioni politiche, linguistiche e culturali, fino a essere inglobata – solo in epoca recente – nella logica dei confini nazionali. La contesa contemporanea lo ha così caricato di significati che non gli appartenevano in origine, sovrapponendo alla sua funzione storica una lettura politica estranea alla sua genesi. Come precisato dal Dipartimento delle Belle Arti della Thailandia il sito è restaurabile: non una promessa generica, ma una valutazione tecnica. Una volta ripristinate condizioni di sicurezza stabili e un pieno controllo civile dell’area, sarà possibile intervenire con metodi conservativi consolidati, la ricomposizione dei frammenti originali dopo rilievi, documentazione e studi stratigrafici. Un restauro lento, scientifico, che presuppone accesso continuo al sito e tempi lunghi, ma che rientra nella tradizione di tutela archeologica dell’area.
Il cessate il fuoco del 27 dicembre non cancella i danni, ma ne arresta la progressione. Prasat Ta Khwai esce così dalla condizione di spazio conteso per rientrare nell’ambito della ricerca e della tutela, come testimonianza della diffusione dell’arte khmer oltre Angkor. Se la tregua reggerà, sarà possibile riattivare attività di studio, rilievo e conservazione sospese dal conflitto.
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