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«Soiree Haute couture, Paris» (1935), di Brassaï (particolare). © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

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«Soiree Haute couture, Paris» (1935), di Brassaï (particolare). © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

Brassaï: l’occhio di Parigi a Milano

Palazzo Reale espone 200 scatti del fotografo ungherese tra Surrealismo e realtà

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

La leggenda vuole che per realizzare le immagini del libro fotografico Paris de Nuit (1933) Brassaï lasciasse la macchina fotografica immobile e fissa per il tempo necessario a fumare una sigaretta Gauloise. In tal modo la poca luce di quelle notti e i riflessi dei lampioni sul selciato bagnato creavano nei suoi scatti (ora deserti, ora invece abitati da prostitute, clochard, lavoratori notturni, passanti misteriosi) effetti luminosi di fortissima suggestione.

Erano gli anni tra le due guerre e Gyula Halász, nato nel 1899 a Brasov (città transilvana allora in Ungheria, da cui trasse il nome d’arte), viveva a Montparnasse, a Parigi, amico e compagno d’avventura dei moltissimi artisti visivi e degli scrittori giunti lì da tutto il mondo e riuniti in un ambiente vibrante di stimoli intellettuali e di energie culturali.

Lui scelse il Surrealismo, che era allora l’avanguardia più attuale e sperimentale, ne condivise lo sguardo e i modi onirici, misteriosi, inquietanti. Divenne fotografo per la rivista surrealista «Minotaure», diretta da André Breton, ma non accettò mai i suoi inviti a entrare a far parte del movimento, sostenendo che «il Surrealismo delle mie immagini non è altro che il reale reso fantastico dalla visione. Cercavo solo di esprimere la realtà, in quanto niente è più surreale».

Amico di tutti loro, Brassaï ritrasse Breton, Dalí, Giacometti, Picasso (nel 1964 pubblicò con Gallimard il libro Conversations avec Picasso) e poeti come Jacques Prévert; subì inevitabilmente il fascino dell’altro grande fotografo ungherese a Parigi, André Kertész, maestro inarrivabile, e fu protagonista, da fotografo ma anche da pittore, scultore, scrittore, di quel clima colmo di creatività. Henry Miller, suo grande amico, ne certificò la piena adesione a quella cultura definendolo «l’occhio di Parigi».

E «L’occhio di Parigi» è il sottotitolo della sua grande mostra presentata da Palazzo Reale (e Silvana Editoriale) dal 23 febbraio al 2 giugno. Sono circa 200, tutte vintage, le immagini esposte in questa antologica curata dal nipote Philippe Ribeyrolles, custode del patrimonio d’immagini e degli archivi di Brassaï, oltre che dei ricordi tramandati da lui.

Esponente (sempre autonomo, però) della «fotografia umanista» francese, sotto la suggestione dell’amico Jean Dubuffet, Brassaï documentò anche i graffiti dei muri di Parigi, finché non fu notato da Edward Steichen che lo invitò a esporre al MoMA di New York, dove iniziò una stretta collaborazione con «Harper’s Bazaar». Per la rivista americana ritrasse i protagonisti della vita culturale e artistica francese, raccogliendone i volti nel libro Les artistes de ma vie, 1982. Morì in Francia, nel 1984, a Èze, minuscolo e incantato paese della Costa Azzurra.

«Soiree Haute couture, Paris» (1935), di Brassaï (particolare). © Estate Brassaï Succession-Philippe Ribeyrolles

Ada Masoero, 21 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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Brassaï: l’occhio di Parigi a Milano | Ada Masoero

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