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L’allestimento della mostra dell’artista palestinese Khalil Rabah (2023-24)

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L’allestimento della mostra dell’artista palestinese Khalil Rabah (2023-24)

Beatrice Merz: «L’arte deve essere generosa. E deve denunciare»

In vent’anni la Fondazione Merz ha accolto 106 mostre e 271 artisti di 54 Paesi. Nel 2026 una grande personale su Marisa Merz

Alessandro Martini

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«I vent’anni della Fondazione Merz costringono me e i miei collaboratori a guardare indietro, ripercorrendo così tutto quanto abbiamo realizzato. È un “revival mentale” molto bello, perché abbiamo fatto molto. Contemporaneamente, ci costringe a riflettere su quale strada indirizzare i prossimi anni della Fondazione e i suoi progetti. Coscienti che il mondo cambia, e inevitabilmente è cambiato e cambierà il mondo dell’arte». Beatrice Merz (1960) racconta la storia passata e i progetti futuri della Fondazione dedicata ai genitori, i grandi artisti Mario e Marisa Merz, nata vent’anni fa e attiva nella sede di Borgo San Paolo, a Torino, ma non solo. 

Come dovrà crescere la Fondazione e sulla base di quali urgenze?
Grazie all’arte e soprattutto agli artisti, dovremo sempre più affrontare temi sociali, di attualità e di denuncia. È sempre più necessario farlo. L’arte, per come noi la concepiamo, non può essere egoista, anzi: deve essere generosa. Se non lo è, non ci interessa. È così che scegliamo gli artisti con cui lavoriamo.

In vent’anni, avete accolto 106 mostre, 271 artisti di 54 nazionalità (da Per Barclay a Lawrence Weiner, da Matthew Barney a Simon Starling e Kara Walker, da Yto Barrada a Mona Hatoum e Alfredo Jaar, e poi Cabrita Reis, Sol LeWitt, Masbedo, e ovviamente Mario e Marisa Merz), 159 curatori e autori, 405 eventi, 81.270 partecipanti ai workshop... Com’è nata la Fondazione e con quali obiettivi?
È un mio progetto, da subito condiviso con Mario, mio padre. Certo, nessuno di noi due pensava che sarebbe mancato (nel 2003, Ndr) ancora prima che la Fondazione fosse avviata. Marisa, mia madre, è intervenuta negli ultimi anni della sua vita (è scomparsa nel 2019, Ndr), ma a lei dobbiamo il Mario Merz Prize, che ha voluto dedicare a suo marito. La loro presenza è continua: fin dall’inizio abbiamo voluto che questo luogo fosse dedicato alla loro opera, sempre però messa «a confronto». Con gli amici, come Sol LeWitt e Lawrence Weiner, e poi con altri artisti. E con i giovani.... 

Il tutto con un filo conduttore. 
Non siamo un museo tradizionale, ma un luogo di ricerca. Da sempre, quindi, invitiamo gli artisti per lavorare a progetti da costruire insieme. A ciascuno chiediamo di elaborare un progetto nuovo, originale, che non abbia portato prima da nessun’altra parte. È molto bello perché tutti, tanto i giovani quanto gli artisti ormai celebrati, si sentono sfidati. E proprio nella sfida danno il meglio di sé. Penso ai progetti di Wolfgang Laib e di Alfredo Jaar, o la prima mostra di Marzia Migliora realizzata per non vedenti... Sono progetti che rimarranno nella storia, e credo anche nella memoria del pubblico che li ha potuti ammirare. A monte di di tutto c’è l’idea che l’arte possa metterci in discussione, scuotere le abitudini, aprire nuove traiettorie, gettando il proprio sguardo anche sulle varie crisi ed emergenze nel mondo. Anche denunciando, come accennavo prima.

L’allestimento della mostra dell’artista israeliana Michal Rovner (2022-23). Photo: Renato Ghiazza

Questo impegno della Fondazione è sempre più condiviso con quello della casa editrice Hopefulmonster, da lei fondata nel 1986. 
È un aspetto che ho sempre cercato e che ritengo fondamentale: l’arte ovviamente deve servire, oggi come ieri. È anche per questo che abbiamo accolto i messaggi di artisti diversi, anche artisti «politici». È stato fortuito, ma fortunato, il fatto che abbiamo ospitato un’artista israeliana come Michal Rovner e, esattamente un anno dopo, il palestinese Khalil Rabah. La casa editrice Hopefulmonster ha un medesimo sguardo sul mondo. Fondata da me ormai quasi 40 anni fa, è stata a lungo il braccio editoriale della Fondazione, pubblicando i suoi cataloghi. Da qualche anno ho ripreso in mano il progetto, inaugurando nuove collane, come «La stanza del mondo» curata da Paola Caridi e «Pennisole» da Dario Voltolini. In comune con la Fondazione c’è l’obiettivo della ricerca continua.

Tornando ai vent’anni della Fondazione Merz, come li celebrate?
I festeggiamenti hanno preso il via l’11 giugno con l’inaugurazione della mostra degli artisti finalisti della quinta edizione del Mario Merz Prize (fino a settembre, quando sarà annunciato il vincitore, Ndr): Mohamed Bourouissa (Francia/Algeria), Voluspa Jarpa (Cile) ed Elena Bellantoni, Anna Franceschini e Agnes Questionmark. Ben tre italiane! Ne siamo felici, lo desideravamo da tempo. Ma non solo. Prosegue anche il progetto «Tuttolibero», allargato al Garage pubblico proprio di fronte alla Fondazione. Ovviamente stiamo già lavorando ai prossimi impegni, a partire dalla mostra «Push the Limits 2», che aprirà al pubblico il 27 ottobre, nella sede di Torino; nonché su altri fronti.

Soprattutto in Sicilia...
Sì, anche se dopo tre anni si è conclusa a Palermo la nostra gestione dello Spazio Zac ai Cantieri Culturali alla Zisa: un’esperienza molto positiva, che il Comune ha deciso di non rinnovare. E al momento, lo spazio è oggi senza gestore, un vero peccato. Assurdo. Ma, visto che ogni cosa si evolve e quando si semina si raccoglie anche in modo molto diverso da quanto ci si aspetta, in Sicilia saremo impegnati nella programmazione di Gibellina Capitale italiana dell’arte contemporanea 2026, con una serie di progetti e la gestione di aree a noi riservate. Stiamo lavorando al progetto proprio in questi mesi.

In questo 2025 cade anche il centenario dalla nascita di Mario Merz: un grande artista che è anche suo padre.
Ho sempre cercato di celebrarlo nella maniera più soft possibile. A inizio anno un convegno internazionale lo ha raccontato attraverso storie, ricordi, analisi. Penso che ci sia ancora tanto da scoprire nella sua opera. È un artista più articolato di quanto possa apparire, al di là delle sue opere e serie più note. Ma anche in quel caso, come ha dimostrato il catalogo ragionato Igloo (2024), non ce n’è uno uguale all’altro. Molti aspetti li scopriamo grazie agli artisti che invitiamo a lavorare da noi e con noi. Soprattutto quando non l’hanno conosciuto personalmente in vita, riescono a svelare sempre nuovi caratteri della sua opera.

Il 2026 sarà invece in gran parte dedicato a Marisa Merz.
Sì, e ne sono felice. Stiamo lavorando a una grande personale, che si aprirà nel corso del 2026 negli spazi della Fondazione Merz, ma anche alla Gam di Torino e al Castello di Rivoli. Sarà un lavoro di squadra, collettivo: a curarla, oltre a me, saranno i loro direttori, Chiara Bertola e Francesco Manacorda (che tenevano moltissimo a realizzare questa grande mostra), insieme a una serie di curatori internazionali. Marisa lo merita davvero. Sempre riservata quando era in vita, oggi è ricercata e amatissima dai giovani artisti. Italiani, ma soprattutto internazionali. Ha ancora tanto da dire.

Alessandro Martini, 27 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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